Le controversie tra fratelli, che s'impolverano nei tribunali e ingrassano gli avvocati, nascono molto prima della lettura dei testamenti e della perdita dei cari genitori. Affondano le loro radici nella polpa più innocente e oscura del primo odio, doloroso e forte, per chi lo nutre, come l'amore irrinunciabile tradito.
In una seconda classe di via Gaidano ricordo un bambino di sette anni, Mirko, fra i più intelligenti che abbia incontrato; un bambino che la gelosia per il fratello minore aveva quasi reso stupido o, quanto meno, desideroso di sembrarlo. Dava risposte insensate, trascinava all'infinito risa sguaiate, provocava l'adulto con esibizioni importune e sciocche, quasi ad augurarsi una punizione, un'esclusione che gli confermasse l'isolamento, l'abbandono che pativa dalla nascita del fratello, venuto al mondo - per massima ingiuria - il giorno del compleanno della madre. Raccontava la signora, una casalinga premurosa e dolce, che, fin dalla nascita del secondogenito, Mirko aveva dato segni di grande sofferenza. A quattro anni metteva in una borsa del supermercato il suo telefono giocattolo, le scarpe, una merendina, un orsetto e così piangendo scendeva nell'androne del palazzo.
Sedeva sconsolato sull'ultimo scalino e, la testa fra le mani, singhiozzava, solo come si sentiva, per nulla confortato dalle parole e dalle carezze dei genitori che gli ripetevano preoccupati il loro amore. "Torna indietro perché si rende conto che non può affrontare il mondo", aveva detto la psicologa. "È intelligente: si ferma perché sa che non può farcela. Ma voi non gl'impedite mai di scendere. Crescendo smetterà". Infatti aveva smesso. L'odio si era perfezionato e aveva assunto forme più sottili di analisi ossessiva del comportamento dei genitori e di critica pungente nel perenne confronto col fratello; che veniva su sereno con i suoi riccioli neri uguali a quelli della mamma, mentre a Mirko i capelli biondi diventavano ogni giorno più ispidi e disseminati di rose, quasi a testimoniare la tensione interna.
La madre, per dargli la certezza d'essere amato e protetto, si era introdotta in tutti i comitati: rappresentava la classe negli organi collegiali, partecipava a riunioni consiliari che finivano di notte, assaggiava periodicamente il cibo della mensa come un servo dei Borgia, proponeva gite, organizzava festicciole in casa perché Mirko la vedesse sempre occupata a dimostrargli le sue attenzioni. Il bambino apprezzava gli sforzi materni ma, alla prima indisposizione che esonerasse il fratello dall'asilo lasciandolo a casa a godere le cure amorose della mamma, appariva incontenibile. La gelosia lo rodeva: diventava con gli altri dispettoso e offensivo a misura della sua ferita. Gli occhi azzurri, velati di pianto, convergevano in uno strabismo occasionale.
Mirko scriveva bene. Il bagaglio di dolore aveva alimentato una notevolissima capacità espressiva. Era maturo nei componimenti e straordinariamente sintetico nei riassunti. Nel disegno era anche meglio. Al ritorno dalle vacanze dei Santi e del 4 novembre, si applicò al suo disegno libero più significativo. Raffigurò un cimitero. Una donna con un bambino per mano, visti di spalle, portavano ai defunti fiori robusti come carciofi. Davanti a loro una tomba con due fotografie ovali, le date di nascita e i rispettivi nomi. In una foto sorrideva un uomo giovane con i baffi e gli occhiali, nell'altra un bambino. I nomi erano quelli del padre e del fratello di Mirko. "Non piangere, mamma," diceva in un fumetto il bambino vivo, "ci sono io con te".
Valeria Amerano
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