19 mar. 2020 - Marilena Revelli
Viviamo in un’epoca caratterizzata dal diffondersi rapido e spesso incontrollato di notizie, informazioni e conoscenze che circolano con facilità tra chat e social media, bombardandoci di messaggi. Tutto questo proliferare di notizie, considerazioni e asserzioni è accessibile ai più e può facilmente condizionare il nostro pensiero e la nostra vita. Il rischio è che si accettino passivamente le informazioni, che sono sovrabbondanti e non sempre esatte e veramente utili, invece di decifrarle, codificarle e rielaborarle.
Per poterne usufruire in modo corretto e costruttivo è necessario possedere capacità di giudizio, di critica e di scelta. Queste capacità vanno impostate e sviluppate durante il processo educativo, perché si impari a discernere e a scegliere consapevolmente.
L’agire educativo deve perciò necessariamente tenere conto di come attualmente siamo tutti esposti alla interconnessione della realtà digitale e virtuale e di come adeguarsi al nuovo contesto.
L’attuale pratica educativa è sempre più orientata nel porre al centro del processo di apprendimento il discente, per favorirne la curiosità e la motivazione alla conoscenza, necessarie a innescare il processo stesso. Per generare un corretto apprendimento sono sicuramente utili i concetti e gli indirizzi derivati dallo strutturalismo e dal costruttivismo. Adeguandoli alle nuove situazioni potranno sviluppare in chi apprende la capacità di acquisire nuove nozioni, inserirle in ciò che già conosce e interconnetterle per sviluppare nuove competenze.
Si tratta di imparare a costruire il significato di ciò che si acquisisce, per utilizzarlo nel modo più appropriato, perché non è importante quanto si sa e si conosce, ma in quale modo lo si conosce. Per questo Edgar Morin dice che: “E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”, prendendo in prestito l’affermazione di Michel de Montaigne, filosofo e politico francese del Cinquecento, che illustra con poche semplici parole un concetto fondamentale.
Ciò che Morin espone, all’inizio di questo secolo, nel suo saggio “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero” (Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000), è più che mai attuale ancora oggi ed è di stimolo a ricercare un nuovo indirizzo educativo adeguato alle rivoluzioni telematiche degli ultimi anni. Morin parte dalla necessità di rivalutare il sapere umanistico, che utilizza il racconto e la metafora per spiegare conoscenze e concetti, e non separarlo da quello scientifico. Il sapere scientifico trarrà vantaggio dal modo di procedere di quello umanistico e saranno sviluppate le capacità di spiegare, rielaborare, catalogare, sintetizzare. Saranno anche favorite l’intuizione, il pensiero creativo e la capacità di giudizio derivanti sia dall’analisi di una situazione sia dal suo racconto. Si giungerà così a una conoscenza pertinente, che è quella che permette di collocare ogni informazione nel suo contesto, dove potrà essere compresa e assimilata.
I saperi e anche le discipline non vanno separati: le conoscenze devono essere interconnesse e il pensiero stesso deve essere in grado di interconnetterle, così le conoscenze saranno organizzate e non accumulate sterilmente. Una testa ben fatta è quella in grado di compiere questo processo e l’educazione, per favorirne lo sviluppo, deve porre fine alla separazione tra le culture. L’organizzazione delle conoscenze è infatti circolare: muove dalla separazione al collegamento e viceversa, dall’analisi alla sintesi e viceversa.
Per Morin è fondamentale sostituire a un pensiero che isola e separa uno che distingue e unisce, quindi un pensiero del complesso riferito al senso originario del termine: complexus: che è tessuto insieme, cioè composto da più parti collegate fra loro e dipendenti.
Le discipline non possono essere chiuse in se stesse perché altrimenti si rischia la iperspecializzazione (pensare l’oggetto della disciplina come autosufficiente, senza legami con altri oggetti e con l’universo di cui fa parte), mentre è importante il passaggio continuo dalle parti al tutto e dal tutto alle parti.
Un pensiero che distingue e unisce trarrà vantaggio anche dallo studio delle scienze più recenti: l’ecologia, la cosmologia moderna, l’antropologia e le scienze della Terra perché sono discipline poli e transdisciplinari, avendo per oggetto un sistema complesso, che costituisce un tutto organizzatore.
Un pensiero che interconnette sarà in grado di sapere che il tutto è più della somma delle parti, che la causa agisce sull’effetto, ma l’effetto può modificare la causa, perché sarà cosciente del proprio processo di conoscenza. Infatti ogni vera conoscenza è data dalla ricostruzione e dalla traduzione dei saperi di una mente inserita in una data cultura e in un certo tempo.
La cultura della nostra epoca non va solamente intesa come cultura di un dato popolo, di un dato periodo e di un dato luogo, ma è il risultato di una interconnessione ormai planetaria, sempre più estesa e rapida.
La capacità di assumere dialogicamente due termini che tendono a escludersi l’un l’altro, di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, favorirebbe il senso di responsabilità e di cittadinanza umana, riferita al più largo contesto di tutte le culture e tutte le civiltà.
Affinché a ciascuno sia consentito il pieno impiego delle proprie attitudini mentali si rivela fondamentale la figura dell’insegnante, che non deve possedere solo tecnica e conoscenza, ma avere l’arte della trasmissione basata sulla fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana. In tal modo la professione dell’insegnare diventa una missione, intesa come compito di salute pubblica, perché saprà fornire una cultura che, permettendo di distinguere e contestualizzare, affronti i problemi globali e fondamentali. Sarà importante “preparare le menti a rispondere alle sfide che pone alla conoscenza umana la crescente complessità dei problemi”, affrontando le incertezze attraverso la conoscenza della storia dell’Universo, della vita e dell’umanità per favorire l’intelligenza strategica e la spinta ad impegnarsi per ottenere un mondo migliore.
Si dovrà educare alla comprensione umana fra vicini e lontani, insegnare la cittadinanza terrestre caratterizzata dalla comunità di destino data dell’epoca planetaria, la quale ha dentro di sé l’unità antropologica e le diversità individuali e culturali, in un continuo rimando all’interdipendenza fra le conoscenze, le economie, le politiche e le religioni delle varie società umane.
L’apprendimento diverrà il risultato di una dimensione collettiva di interpretazione della realtà, non sarà soltanto un’attività personale e si dovrà basare su di un approccio multidisciplinare.
Il compito degli insegnanti non sarà solo quello d’inculcare il sapere, ma di trasmettere una cultura “che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere”, perché nell’insegnamento deve sempre essere insita l’educazione.
Le considerazioni fin qui esposte mettono in risalto quali siano le caratteristiche peculiari che la comunità educativa deve possedere oggi, quando è chiamata a mediare tra il mondo iper reale della comunicazione globale e quello della quotidianità. Si rischia altrimenti di inferire le conoscenze e le informazioni e di non saper essere oggettivi nel giudizio. La cultura umanistica è perciò utile per narrare e spiegare la realtà, per creare contenitori di significato nei quali inserire le conoscenze più specifiche delle discipline scientifiche e per favorire il passaggio da una disciplina all’altra. In questo modo si potrà facilitare l’intuizione e sviluppare la creatività, che sono entrambe necessarie per organizzare il sapere e utilizzarlo in modo proficuo.
Per Morin si tratta di creare un nuovo umanesimo, che ha al centro l’uomo per “insegnargli a vivere”. Guido Ceronetti, visitando il museo della scuola Sclopis, che frequentò da bambino, lasciò una dedica che recita “Viva la Sclopis che mi ha insegnato a esistere”. Lo trovo rassicurante perché dimostra che in ogni epoca molti insegnanti hanno svolto questo fondamentale compito nei modi più vari, formando le menti nel contesto della cultura e della civiltà a cui appartenevano e fornendo gli strumenti per interpretarla, giudicarla e contestualizzarla, anche tra le altre culture.
- Versione adatta alla stampa
- 9135 letture