Nel mese di gennaio abbiamo avuto il piacere di incontrare, in modo informale, il prof. Bruno Manfredi, figlio di Mario Manfredi, membro del comitato direttivo della nostra cara Associazione Niccolò Tommaseo. Bruno Manfredi aveva in serbo un dono importante e prezioso per noi: l’intero archivio riguardante la storia della Tommaseo lasciatogli dal padre, deceduto dodici anni fa. Pur ricordando la grandezza dell’Associazione nei corsi di preparazione al Concorso Magistrale, testimoniata dall'imponente afflusso di candidati, che frequentavano le lezioni anche la domenica mattina, è stata per me una sorpresa leggere il lato ricreativo della Tommaseo, che si estendeva ad attività sociali e culturali, capaci di creare forti legami tra i soci e le loro famiglie. Mi sono resa conto che nella seconda metà del Novecento la Tommaseo, oltre ad essere un potente veicolo di cultura pedagogico didattica per gli insegnanti che aspiravano ad una cattedra, costituiva un luogo di incontro e svago fra i soci, che s'impegnavano ad organizzare gite, momenti di autentico scambio e condivisione con le famiglie, e spettacoli in grado di raccogliere e divertire un numeroso pubblico in teatro. Un ricco corredo di fotografie di quegli anni, elaborate dallo stesso Manfredi, attesta il successo e la folta partecipazione a tali attività. Ringraziamo Bruno Manfredi per questi documenti che ha generosamente desiderato mettere a disposizione dell’Associazione, e lo ringraziamo per il titolo calzante che ha voluto suggerire all’insieme dei testi che ora pubblichiamo: “Tommaseo Amarcord”.
(Valeria Amerano)
L’Archivio Mario Manfredi a disposizione dell’Associazione
75 anni fa. Inverno 1944/45.
A Torino, in corso Oporto (oggi corso Matteotti), presso il palazzo cosiddetto delle Opere diocesane, entrano alla spicciolata alcune persone, uomini e donne. Ufficialmente, se qualche tedesco o repubblichino avesse chiesto, dovevano rispondere di essere lì per preparare dei pellegrinaggi. In realtà erano tutti insegnanti antifascisti che preparavano con quelle riunioni clandestine la “nuova scuola”. Uno di questi cospiratori era Mario Manfredi.
Questi e altri preziosi aneddoti sono contenuti nell’archivio che Mario Manfredi ci ha lasciato, morendo 12 anni fa.
Io sono il figlio; anch’io sono stato insegnante, ho collaborato con la Tommaseo come docente (Informatica, esperanto) e come correttore di temi duranti gli affollatissimi corsi di preparazione ai concorsi magistrali che hanno “sfornato” intere generazioni di docenti.
Come responsabile del progetto “Nel vento” amministro tra l’altro il lascito di opere di mio padre, per lo più relative alla vita dell’associazione Tommaseo, che per lui (e di conseguenza per me e mia madre) era come una seconda famiglia.
Tali documenti sono ora a disposizione dell’Associazione, sotto forma di donazione, per gli usi che saranno decisi dagli attuali Dirigenti.
In sintesi ecco quali sono i documenti, tutti scritti a mano, con grafia perfetta da parte di mio padre:
1. Vita scritta da esso. Testo autobiografico di 338 pagine, composto per metà da immagini e per metà di testo. Molte pagine sono dedicate all’associazione. Testo datato 2000, scritto negli anni precedenti.
2. Testimonianze della vita dell’Associazione Magistrale “Niccolò Tommaseo” (1945-2005).
3. Follie… fuori classe, testo dedicato alle recite organizzate da maestri per maestri per lo più presso il Teatro del San Giuseppe (ma non solo). Due fascicoli. Il primo dal 1951 al 1960. Il secondo fra il 1962 e il 1964.
4. Follie musicali. E’ una sorta di appendice dei due testi precedenti, con i testi delle parodie e altri documenti.
5. “Noi due… viaggiando insieme”. Si tratta dei diari di viaggio di Mario e di sua moglie Maria Teresa. Molte sono le gite della Tommaseo commentate. Si tratta di sei dossier. La data finale è il 1996, quando, morendo la moglie, terminano i viaggi.
6. L’ultimo testo è un omaggio al collega Italo Grange. Ha per titolo “Un po’ per celia e un po’ per non morir d’inedia”. Si tratta di racconti in ambito scolastico scritti con un particolare senso dell’umorismo. Documenti preziosi di una scuola che non c’è più.
7. E’ poi infine disponibile, rilegata, l’intera collezione del Notiziario Vita Magistrale, di cui Mario curava la rubrica di note sindacali dei “maestri laureati”, oltre a cronache varie sulle attività ricreative di cui era il coordinatore.
A mo’ di conclusione, un testo tratto da Testimonianze:
“A tutte le Associazioni nel 1927 era stato presentato il dilemma: o passare al servizio del Regime aggiungendo un aggettivo (fascista) al nome dell’organizzazione o scomparire. Il Provveditore volle avere un colloquio con il cav. Mattana, presidente della nostra Associazione, al quale propose il passaggio della Tommaseo alla A.F.S., Associazione Fascista della Scuola. La risposta fu: “Sint ut sunt, aut non sint” (I Tommaseisti siano come sono oppure non siano). Il funzionario soggiunse: “Lei è un galantuomo; se tutti gli Italiani fossero come Lei, non dovremmo soffrire certe vergogne”. Il 5 ottobre 1927 fu deliberato lo scioglimento dell’Associazione”.
Meditate, gente!
Torino, febbraio 2020 - Bruno Manfredi
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GITE
(dal testo autobiografico Giro dei mondi in 100 libri, di Bruno Manfredi)
Se uno sente parlare di “Associazione Magistrale Niccolò Tommaseo”, pensa ad un club di insegnanti seri, austeri, studiosi, magari anche nostalgici.
In casa nostra la parola "Tommaseo" aveva un valore magico. Aveva il genere femminile, “la” Tommaseo, ed era per così dire una seconda famiglia.
In certi momenti mio padre pareva quasi ribaltare la situazione e considerare l’associazione come la prima; mia madre, che aveva fatto le magistrali, ma insegnante non era, era complice e pienamente partecipe al progetto.
La storia di questa benemerita associazione/famiglia meriterebbe, un libro, magari una tesi di laurea e potrebbe insegnare paradossalmente molto ai giovani (insegnanti e non).
Basta un episodio, un gesto, quello del presidente Mattana, all’avvento del fascismo al potere, quando gli propongono di fare diventare fascista l’associazione, pena lo scioglimento. Non ha dubbi. Si reca nell’ufficio pubblico competente e scioglie l’Associazione. Il funzionario lo guarda e dice: “Eh, se tutti fossero come voi, non saremmo al punto in cui siamo”.
Parole che inviterei a meditare anche oggi. Tutto passa, tutto va.
Cade Mussolini e mio padre partecipa, ventitreenne, renitente alla leva e con documenti contraffatti nella Torino occupata dai nazisti, alle riunioni clandestine in corso Matteotti, il palazzo della stampa cattolica. Se fosse stato interrogato (le spie non mancavano), doveva dichiarare di stare preparando dei pellegrinaggi ai principali santuari.
Finisce la guerra. A testa alta la Tommaseo riprende il suo cammino e mio padre, entrato nel frattempo nel comitato direttivo, ha una idea in fondo collegata con i... pellegrinaggi.
Oltre a corsi, consulenze e attività “serie”, si sarebbe organizzato un programma di gite!!
Era il dopoguerra. Pochi possedevano l’auto, e in particolare gli insegnanti avevano stipendi massacrati dall’inflazione, ma erano curiosi di conoscere il mondo.
Le prime uscite si svolgevano in giornata, su camion militari con i teloni sopra. Immaginare - prego - maestre più o meno giovani e non propriamente longilinee, salire “spintaneamente” salendo sulle ripide scalette.
Pochi anni dopo, quando già possiamo permetterci autobus, magari un poco scassati, ecco entrare io nella combriccola, secondo almeno quello che riporta il taccuino di mamma Maria Teresa:
"24/6/1954 gita Aglié-Ivrea (Bruno partecipa per la prima volta)"
Ovvio che non ricordo nulla di quella giornata, ma ho invece ben presente lo schema base delle gite, secondo un progetto ben collaudato, che peraltro prenderò come esempio io stesso molto tempo dopo:
1. La preparazione... è un poco una scusa per prendersi una giornata di libertà. Mio padre e un collega vanno in avanscoperta a esplorare la meta della gita e in particolare “testano” il ristorante...
2. La parte artistico-culturale... alla mattina si visita un paio di chiese, un monastero, un palazzo antico. Insomma questa è la parte seria della giornata. Il prof. Caramellino è incaricato di fare da guida, e ci riempie di nozioni, prima sul pullman, poi dal vivo. Al di là di date e nomi che facilmente si dimenticano, trasmette con il tono e i gesti una profonda passione per l’arte. E’ un piacere sentirlo, anche se magari dopo un po’ si pensa ad altro, sommersi dalle informazioni.
3. Il pranzo! Per alcuni è il vero momento clou della giornata. Si potrebbe ironizzare su questo “epicureismo” da parte di maestre e maestri altrimenti serissimi. Però ho capito in seguito che il valore del ritrovarsi attorno ad una tavola, va al di là del... riempirsi la pancia. E’ anche questo un fatto culturale.
4. Solo che io, piccino, ho a volte dei problemi. Mi ricordo quella volta a Cuceglio, vicino a Ivrea. I nomi dei ristoranti sono sempre pittoreschi, tipo Gallo d’oro, Bue grasso... Alla quinta portata di antipasto, ad un ritmo per me troppo veloce, scoppio a piangere: “Basta! Non ce la faccio più!”
5. La parte più divertente è quella del ritorno, legata ad una carissima persona, la maestra Emma Germano. E’ una vera “animatrice” ante litteram. Mescolando italiano e dialetto piemontese, con accento astigiano, alternando personaggi dotti e figure del contado, ci fa piegare in due dalle risate e ci coinvolge tutti in canti “popolari”. A distanza di 50/60 anni li conosco ancora a memoria, pur essendo a volte filastrocche interminabili e coinvolgo anche le mie nipotine Ginevra e Julie, segno che funzionano a prescindere dalla situazione e dalle epoche.
Si tratta di canzoni a volte molte impegnate come “Un pompista pi’ ‘n aut pompista fan dui pompista”. Tradotto significa “Un vigile del fuoco più un altro vigile del fuoco fanno due vigili del fuoco”: ma in dialetto è un’altra cosa... Si va avanti fino a 10 e poi si scende fino a zero. E’ evidente la ricaduta didattica nell’apprendimento della matematica di base.
Seguivano momenti irresistibili di storia, con collegamenti con la storia sacra: "La Santa Caterina biribinbiribinbumbum..."
Il " BumBum " veniva fatto ripetere più volte, fin quando non diventava una vera esplosione!
Veniva poi il momento della storia patria: "Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battagliò".
Il ritornello veniva ripetuto, usando solo le E... Gherebelde... e poi le altre vocali, lasciando la A per ultima...
Tutti aspettavano la A... Garabalda... aspettando... Garabalda CACCA manda, caccamanda al battaglià.
Risate! Sfiorata la frontiera del proibito.
Per riequilibrare la situazione si passava ai classici della montagna, "Quel mazzolin di fiori" in testa... E poi i canti degli alpini.
Si battevano ritmicamente le mani e... non si aveva paura di stonare. Il viaggio di ritorno, come del resto tutta la giornata passavano in un battibaleno e, secondo la formula classica dei temi di allora: “...si torna a casa stanchi, ma felici per la bella giornata trascorsa...”
Il giorno dopo, lunedì! A scuola maestre e maestri, più seri del solito riprendevano le routine: appello, interrogazioni, spiegazioni.
Mai i loro alunni potevano pensare che quella persona autorevole ed autoritaria, poche ore prima cantava a squarciagola:
“Garabalda caccamanda, caccamanda a sa soldà.”
L'Associazione Tommaseo in gita a Pavia
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FOLLIE
(dal testo autobiografico Giro dei mondi in 100 libri, di Bruno Manfredi)
“Follie fuori classe” era una idea geniale ed è stata per me un’esperienza importante in quella età cosiddetta della latenza: non sei più bimbo, non ancora adolescente, guardi il mondo intorno a te, hai curiosità, paura rispetto al mondo degli adulti. Avresti tanti “perché?”, ma nessuno ha tempo a darti retta.
L’idea che aveva avuto papà era in fondo il classico “semel in anno...” ossia ... una volta all’anno è lecito fare i matti.
Ufficialmente ci sarebbe il carnevale, che nel frattempo viene però retrocesso a festicciola per bambini e neppure troppo trasgressiva.
Insomma: siamo sì insegnanti seri, preparati, professionali, ma, perdirindina!:
• non siamo mica macchine
• sappiamo fare molte cose
Mio padre era un ottimo pianista e in gioventù, in campagna, a Pieve, in estate, aveva avuto la possibilità di fare il regista di piccole farse teatrali, con titoli del tipo “Gianduia va in collegio”.
L’idea geniale è quindi di organizzare una serata di puro divertimento, con un programma di cultura “alta” alternato con siparietti comici. Da un lato, alcuni maestri talentuosi si esibiscono in canzoni, romanze, poesie. Dall’altro lato, ci si mette in gioco con una buona dose di ironia e autoironia.
Io, piccolino, riesco a intrufolarmi nel meccanismo, un po’ come la mascotte di questa improvvisata compagnia teatrale. Mi definisco “segretario”, ma in realtà sono un trottolino che fa ogni tipo di servizio: portare un bicchiere d’acqua, la penna non scrive più, manca un foglio bianco. Vivo in pratica quello che più tardi teorizzerò come uno dei miei pilastri di vita: se vuoi vivere e non limitarti a sopravvivere, l’importante è sentirsi utile, e magari a volte riuscire ad esserlo davvero.
In cambio entro in quel magico mondo.
Prendiamo le prove: sono noiose in apparenza: ripetere più e più volte le stesse scene. Ma è fondamentale cementare il gruppo, formato da dilettanti che hanno sì un retroterra comune, ma che hanno una mentalità un po’ individualista.
Ho la possibilità di osservare e ascoltare, di confrontare i diversi livelli e i diversi stili. C’è chi, essendo molto timido, ha bisogno di continui incoraggiamenti da parte di mio padre. Altri invece non si impegnano per nulla nelle prove, ma poi tirano fuori il meglio quando conta.
Un caso particolare è il maestro G. Amava il teatro alla follia, forse troppo. Voleva partecipare ad ogni costo, ma... era balbuziente. Mio padre allora ha una idea: gli assegna una parte in cui G. doveva impersonare un balbuziente. G. va in scena e... magicamente non balbetta più.
Sono affascinato. C’è chi canta benissimo e sembra un professionista della radio. C’è chi racconta strampalate storie horror “E la barca tornò sola..”. A volte il siparietto è serio e si ride. Oppure viene detta una battuta e... tutti seri!
I due fascicoli “Follie fuori classe” editi dalla SEMM (Società Editrice Mario Manfredi) sono preziosa testimonianza di questo micromondo, contenendo i copioni, gli inviti, i ritagli di giornale dell’epoca.
Arriva la sera della prima, che a dire la verità è anche l’ultima: tante prove per una sola replica...
Il teatro San Giuseppe, che a me sembra enorme, è pieno in ogni ordine di posti. In prima fila il provveditore, ispettori, direttori: insomma il gotha della scuola torinese, per una serata particolare.
Io mi piazzo con mio cuginetto Franco vicino alla scaletta per entrare dietro le quinte: chi lo sa?, magari avranno bisogno del “segretario”.
Il mondo dietro le quinte ha dell’incredibile: corde, scenari accatastati, botole. C’è il posto per il suggeritore, dove si piazza il maestro C. negato per ogni performance e timidissimo, che però legge molto bene, ha molta pazienza e vuole ad ogni costo essere parte del progetto. Uno dei suoi compiti è quello di avviare al momento giusto un registratore Geloso a nastro per immortalare l’audio della serata. Ma o si dimentica di premere il pulsante, o preme il pulsante sbagliato, oppure fa tutto bene, ma piazza il microfono vicino a sé con il risultato che viene immortalata la voce di lui che suggerisce e non quella degli attori.
Insomma, è una curiosa mescolanza di dilettanti allo sbaraglio e di veri e propri professionisti, con un risultato a volte surreale. Vengono invitati a volte personaggi famosi, come la maestrina della penna rossa che giovanissima aveva ispirato "De Amicis" per Cuore, oppure la cantante Tonina Torrielli, molto popolare allora: per creare un clima di suspence, mio padre non inserisce la cantante in programma, ma accenna a tutti solo che ci sarà una sorpresa, senza dire il nome: in realtà fino all’ultimo teme che la diva gli dia buca...
Ma non era quello il clou della serata. Tutti aspettavano Lui.
Lui non era propriamente insegnante: Michelangelo Chicco era direttore della colonia del Comune e poi funzionario. La sua prima attività era di organizzare l’associazione Tommaseo, assieme a mio padre. Persona serissima, perfino burbera, con barba e baffi, sembrava un ufficiale degli alpini. Tutti ne avevano soggezione, qualcuno paura.
Ma la sera di Follie fuori classe...
Mio padre che fa anche da presentatore, annuncia serio il prossimo numero in scaletta, ma il pubblico ha come una specie di ondeggiamento, chi si volta indietro, c’è un passaparola, sta per succedere qualcosa, mormorii dal fondo, applausi, risate. Tutti si voltano verso il fondo e... arriva Pierino!
L’austero direttore di colonia, in calzoncini corti e vestito alla marinaretta, entra dal fondo e incomincia a fare scherzetti a destra e a manca, compresi alle autorità in prima fila.
Segue il siparietto comico: c’è una spalla, a volte mio padre, una serie di battute, alcune improvvisate. Pierino con la scusa di tenere segreto il suo “siparietto” è di quelli che durante le prove non si impegnano.
C’è perfino qualche punta di satira polemica, contro la burocrazia, il bidello che ha poca voglia di lavorare, insomma obiettivi non troppo impegnativi, ma tant’è.
Normalmente il siparietto finisce con Pierino che, avendo esagerato un po’ troppo, viene “cacciato” via da uno o più degli altri attori, fra il tripudio generale.
Non so che effetto fa leggere queste righe oggi.
All’epoca queste recite ricevevano una certa attenzione, come dimostrano gli articoli di giornale in cui gli improvvisati attori sono intervistati e fotografati.
Dal mio punto di vista, basta un segnale per capire quanto emotivamente fossi coinvolto. Mi morsicavo il labbro per l’emozione, fino a farmelo gonfiare.
D’altra parte, ero o non ero il “segretario”?
Il prof. Chicco nei panni dell'applauditissimo "Pierino"
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