Formazione in servizio

19 mar. 2020 - Gianluigi Camera

Se ne parla molto, a tutti i livelli, ma forse la si pratica sempre meno. Eppure, tutti ritengono che debba essere un capitolo fondamentale per tutto il mondo della scuola. La Ministra Azzolina, dopo il suo recente insediamento ha affermato: “prioritario sarà il tema della formazione, dei Dirigenti, dei Docenti, ma anche del personale ATA”. Ultimamente circolano molte proposte e iniziative per quel che riguarda, soprattutto, la formazione digitale. Cosa certamente buona, ma occorre non trascurare molte altre tematiche da molto tempo ignorate quali: la didattica delle discipline, l’interdisciplinarità, l’educazione ecologica, la valutazione degli alunni, le attività di programmazione ai vari livelli, le competenze psicologiche e relazionali nei confronti degli alunni e delle famiglie con le quali i rapporti sono sempre più difficili.

L’ultimo dibattito circa l’obbligatorietà della formazione prevista dalla legge 107/2015, comma 124 la dice lunga. A fronte di affermazioni più edulcorate da parte di alcune realtà che parlano di puro diritto affidato alla discrezionalità dei Collegi, giova citare il pronunciamento del Sindacato Cisl che afferma: “mai viene scritto nel contratto (né mai si è pensato) che l’aggiornamento non costituisca un dovere per il personale.” E speriamo che questa affermazione costituisca un punto fermo.

La tradizione della formazione in servizio, soprattutto a livello di scuola primaria e dell’infanzia, ha radici antiche. Il Centro didattico Nazionale per la scuola elementare, di vecchia memoria, tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso aveva istituito una rete di scuole intorno a 100 Direzioni Didattiche disseminate su tutto il territorio nazionale considerate come Centri di Aggiornamento Permanente. Ogni scuola capofila disponeva di una somma annuale di 1 milione di vecchie lire da utilizzare esclusivamente per la formazione dei docenti. Era prevista una rigorosa rendicontazione e corsi di preparazione per i Dirigenti scolastici che dovevano gestire l’operazione. Nel 1974 gli IRRSAE (poi IRRE) disseminati in ogni regione costituirono un forte e qualificato presidio per la formazione dei docenti di ogni ordine e grado.

Proprio dagli IRRSAE partì la grande operazione di lancio dei Programmi della scuola elementare del 1975 e della scuola media del 1979. Nel 2007 subentra l’ANSAS (Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica), ma l’accento forte sul tema formazione, a mio giudizio, si attutì. Ora la formazione docenti è essenzialmente affidata alla card di 500 euro annui assegnati ad ogni docente di ruolo per l’acquisto di corsi e di materiali didattici correlati, anche informatici.

Da un’inchiesta giornalistica del Sole 24 ore risulterebbe che il 70% delle somme erogate a ciascun docente non verrebbe spesa per corsi o libri. Viene da pensare a cosa si potrebbe attuare assegnando l’equivalente dei bonus di 500 euro a ciascun Istituto o rete di Istituti. Considerando anche solo una media di 60 docenti di ruolo per ciascuna unità, si potrebbe garantire un fondo annuo di 30 mila euro per ciascuna Presidenza: una cifra favolosa. Ma certamente il tornare indietro dalla prassi ormai consolidata del bonus a ciascun docente sarebbe impresa ardua sul piano politico e sindacale.

C’è da auspicare che nel prossimo contratto scuola, data per scontata l’obbligatorietà della formazione in servizio, si voglia attuare quanto auspicato dal Notiziario on line di Tuttoscuola focus del 27/1/2020: certificazione delle attività di formazione; determinazione del numero delle ore e dei periodi di formazione; controllo dell’assolvimento dell’obbligo formativo; utilizzo di almeno il 50% della card per corsi di formazione.

Se son rose fioriranno.