di Gianluigi Camera
A tutti noi è successo di assistere agli effetti di una discrasia dovuta all'impatto di un progetto teorico con la concretezza della sua pratica attuazione: si generano impreviste difficoltà, difetti di approccio, imprevisti risultati negativi. E questo in ogni campo del vissuto personale o storico, dai sogni adolescenziali alle utopie politiche, dalle scelte professionali alla elaborazione di progetti innovativi. Più il disegno teorico è vasto e impegnativo più si rivolge ad una realtà multiforme e complessa e più crescono gli incidenti di percorso e le conseguenti delusioni. È un rischio che bisogna avere il coraggio di correre, l'alternativa è l'accettazione acritica dello status quo.
La scuola ed i suoi riformatori, come ogni realtà vivente, non sfuggono a questa inesorabile legge del cambiamento. Cambiare significa progettare una cosa nuova in assenza di una assoluta certezza che il progetto si innesti in modo indolore e prevedibile nella realtà che si intende modificare. Di fronte a questo stato di cose gli osservatori assumono atteggiamenti contrastanti. C'è chi prende spunto per una totale negazione del nuovo ed auspica un ritorno al passato: “era meglio quando era peggio”. C'è chi accoglie in modo entusiastico il nuovo comunque esso sia. Infine c'è chi pensa che occorra lubrificare i punti di attrito, dare tempo al tempo, accettare l'innovazione promuovendo gli opportuni accomodamenti.
Di fronte alla legge 107 è avvenuto un fenomeno del genere. Nessuno può negare che “La buona scuola” abbia rappresentato un intervento a 360° nel mondo della scuola, quale non si era mai verificato negli ultimi decenni. Proprio per questo fatto gli attriti tra il progetto e la realtà si sono fatti più eclatanti e problematici.
La possibilità di immissione in ruolo di 150.000 docenti ha dovuto fare i conti con le Graduatorie ad esaurimento ed i tempi dei concorsi che hanno coinvolto masse di precari trascurate da decenni. Tutto ciò ha inesorabilmente provocato spostamenti di personale dovuti alla sproporzione storica tra posti di insegnamento e presenza di docenti tra le diverse aree del paese. I detrattori hanno gridato alla “deportazione di massa”. Ma allora era meglio per la scuola e per gli addetti ai lavori una precarietà permanente sotto casa o un lavoro certo, anche se scomodo, fatte salve future migliori sistemazioni? Ancora. L'organico dell'Autonomia ampliato è stato progettato come occasione per arricchire l'offerta formativa, ma non sempre la specializzazione dei docenti nominati è stata congruente con la specificità delle esigenze di ogni scuola e ha visto l'addensarsi di docenti non rispondenti alle attività previste dai POF. Ma il vantaggio di disporre di un organico maggiorato è stato comunque formalizzato. Nei futuri concorsi sarà possibile differenziare, almeno per grandi aree, il fabbisogno delle scuole.
Gli esempi sopra riportati, ma molti altri se ne potrebbero citare, non ci autorizzano a gettare “il bambino con l'acqua sporca”. Non ci autorizzano ad accettare tutto acriticamente. Ci impegnano ad attuare per proporre documentate, realistiche modifiche.
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