Grazie Pennac!

di Elena Zegna

Desidero presentare e ai nostri Soci e Lettori il magnifico articolo della dottoressa Elena Zegna la quale, partendo dalle riflessioni dello scrittore Daniel Pennac intorno alla ricerca di un metodo efficace per accostarsi agli alunni, interessarli e coinvolgerli nell’apprendimento scolastico, suggerisce con molta “pudicizia” di coltivare nel processo d’istruzione l’amore.
Attraverso una ricca gamma di voci che attestano la sua preparazione pedagogico letteraria, Elena Zegna affronta e sviluppa un tema accantonato e diventato a torto desueto nella scuola, travolto dalle moderne proposizioni didattiche: l’approccio empatico ed affettivo con i ragazzi che si affidano all’insegnante per crescere e imparare. Condividendo in pieno la sua tesi, aggiungo che, nell’ambito di una classe, solo l’ascolto e la ricerca di un dialogo, oltre ogni schema di programmazione preordinato, possono condurre gli alunni alla riflessione - attività che la comunicazione immediata delle emozioni, instaurata dalla tecnologia, sta a poco a poco eclissando anche fra gli adulti.
Ringraziando la dottoressa Zegna per il suo intervento, la invito a voler onorare ancora il nostro periodico del suo autorevole pensiero.
(Valeria Amerano)

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Sarebbero molteplici i motivi per i quali ringraziare lo scrittore Daniel Pennac, dalla sua prodigiosa creatività alla sapiente fluidità del suo stile, dal ritmo perfetto dei suoi romanzi all’equilibrata sobrietà di tante sue pagine.

Ma in questo caso il senso di gratitudine espresso nel titolo nasce da una pagina in particolare, una di quelle pagine che, in mezzo alle altre, sorprendono e colpiscono per il coraggio e per la profonda verità che le detta, per la saggezza e, al contempo, per la semplicità disarmante che le caratterizza. Daniel Pennac - Diario di scuola: ….‟C’è un metodo?/ Non mancano certo i metodi, anzi, ce ne sono fin troppi! Passate il tempo a rifugiarvi nei metodi, mentre dentro di voi sapete che il metodo non basta. Gli manca qualcosa/ Che cosa gli manca?/ Non posso dirlo/ Perché?/ Cosa gli manca?/ Non posso dirlo/ Perché?/ È una parolaccia… una parola che non puoi assolutamente pronunciare in una scuola…/ E cioè?/ No, davvero non posso. Se tiri fuori questa parola parlando di istruzione ti linciano/…/…/…/ L’amore”.

E, per il medesimo motivo, grazie anche a Harry Holzheu, “il re della comunicazione”, come viene spesso definito. Ho avuto occasione di conoscere questo interessante personaggio preparando dispense per un corso di formazione docenti. Holzheu, che a livello internazionale, insegna da anni come migliorare il proprio modo di affrontare il pubblico puntando su un ascolto attivo, sull’attenzione alla gestualità e all’uso della nostra voce… Holzheu, che scrive della convinzione, dell’entusiasmo, dell’abilità di coinvolgere, di risultare credibili, autorevoli e naturali al tempo stesso… ebbene Holzheu, uno tra i più ricercati consulenti europei, conclude, a sorpresa, un suo saggio sulla comunicazione riportando una poesia di Lao Tze sull’importanza di illuminare tutto con l’amore… e aggiunge: “L’amore è la forza più grande del mondo: può spostare le montagne e compiere miracoli (…) se non riusciamo a rimanere agganciati all’amore tutto andrà storto…”.

E grazie a Piero Ferrucci, filosofo e psicoterapeuta, che in un libro ormai datato, parlando di se stesso alle prese con i disarmanti capricci del suo bambino, scrive: “Le spiegazioni e le minacce non funzionano, gli animi si sono avvelenati. Non so più che fare… Poi mi ricordo dell’amore… riesco ad entrare in contatto con quel lumicino di amore che ancora mi è rimasto. In mezzo alla baraonda sento l’amore che ho per questo bambino… l’importante è che nel mezzo della bufera, dell’ansia, della rabbia… io sia riuscito a trovare l’amore. È questa la vera vittoria”.

Si potrebbe proseguire con altri autori e con altre citazioni, ma forse è già intuibile ciò che intendo dire. Penso che l’importante sia che noi insegnanti, al di là della lunga o breve esperienza, al di là dei corsi di aggiornamento e delle novità in merito alle valutazioni, riusciamo a ricordarci di illuminare ogni giorno la nostra professionalità, o forse dovrei dire la nostra missione, con questo ingrediente così unico, così vincente e così decisivo anche e soprattutto nei casi più disperati.

Un approccio illuminato dall’amore si può tradurre in mille gesti, strategie, idee e iniziative e sicuramente ognuno di noi avrà sperimentato modalità differenti.

Per esempio può significare decidere di parlare personalmente, oltre l’orario-cattedra, con quel ragazzino spinoso, che ci dà del filo da torcere in classe con il sincero desiderio di comprendere meglio che cosa lo tormenta e di dedicargli un po’ di attenzione in più, perché forse ne ha bisogno. Può voler dire decidere profondamente di farci rispettare da tutta la classe per avere modo di vivere serenamente le lezioni ed avere così la possibilità di traghettare con gioia i nostri alunni nel mondo del sapere, regalando anche sorprese ed esperienze che siano preziose in classe e indelebili nei loro ricordi.

Ma si intuisce la presenza di un atteggiamento illuminato dall’amore anche nel desiderio di trasformare quel nostro essere un po’ monocordi nelle spiegazioni o di rinnovare, con qualche sana variazione sul tema, il modo in cui affrontiamo un argomento della nostra disciplina, cercando di evitare di usare un tono scontato, che presuppone qualcosa di ovvio, che però per gli allievi proprio ovvio non è… cercando di aggiungere una battuta di spirito perché talvolta ci dimentichiamo che l’apprendimento passa attraverso il divertimento.
E c’è intenzione amorevole anche nella nostra decisione di smettere di urlare in classe, sforzandoci di superare il rumore di fondo, nel tentativo di imporci meglio e di far comprendere chi è che comanda. Troppi risultano essere, infatti, i bambini appesantiti e segnati dagli urli involontari, ma frequenti e inevitabili di alcune insegnanti. Consideriamo oltre tutto quanto fa male alla nostra voce urlare, ma qui si aprirebbe un altro capitolo…

Ed entra in scena l’amore anche nel coltivare quel nostro desiderio di trovare altre vie, seppur dopo tanti anni, nel ricercare una voce un po’ diversa, chissà forse più tranquilla o forse più appassionata, nel ricercare una dolcezza forte anziché un fragile urlo, nel comunicare la gioia di essere lì insieme a condividere anziché la fretta o l’ansia di andare avanti velocemente con il programma o la paura di non farcela o la stanchezza della nostra vita o lo stress per le molteplici incombenze burocratiche.

È rischiarato dall’affetto anche il nostro lavorare sulla qualità del nostro sguardo in classe, in modo che sia attento, presente, affettuoso, autorevole, coinvolgente e sempre e comunque accogliente. Guardare negli occhi in un certo modo i nostri alunni significa considerarli, e l’etimologia di “considerare” ovvero “cum sidere” “portare alle stelle” la dice lunga sulle possibilità terapeutiche della qualità del nostro sguardo.
Dettata da un atteggiamento amorevole sarà anche la volontà di ricercare e di valorizzare i talenti dei nostri studenti, di allontanare da noi quella tendenza ad essere prevenuti, scettici o addirittura ostili nei confronti di chi non ci piace. Tra l’altro sarà molto arduo far imparare qualcosa a chi non ci piace, poiché avremo sperimentato che l’apprendimento passa sempre e solo attraverso l’accoglienza e l’accettazione dell’altro.
È un interessante e articolato percorso in cui dobbiamo essere ben disposti a comunicare, ossia a mettere in comune, a condividere e non solo ad informare o a dimostrare tutta la nostra cultura. Lungo il percorso ci accorgiamo che è consigliabile trasformare, migliorare, cambiare qualcosa in noi e nel nostro modo di essere educatori.

D’altra parte, come ci insegna Costantino Kavafis, nei versi della sua celebre poesia “Itaca”, la bellezza è nella varietà del percorso, nell’abilità di assaporare il viaggio e non nel punto di arrivo.
Non ci resta che dedicarci con amore al nostro unico, bellissimo, importante percorso.