Educazione alla cittadinanza come disciplina

(di Lia Ferrero)

Emergenza educativa
“Finisce nelle slot la paghetta di duecentomila ragazzi”. “A quattordici anni bevono alcool due giovani su tre e per gli adolescenti ogni sorso diventa un danno irricuperabile”. “Fra i quindici e i diciannove anni un terzo si fa le canne”. “Non era accettato nel gruppo e ha cercato di farla finita”…
I titoli ad effetto, sempre più frequenti, colpiscono, allarmano, fanno meditare. Tutti convengono sull’allentarsi sempre più preoccupante del ruolo della famiglia come trasmettitrice di valori e sull’affievolirsi della fiducia nella scuola e nelle istituzioni extrascolastiche - oratori, gruppi scoutistici, associazioni di volontariato… -

Ma a chi spetta allora il compito di educare ad essere cittadini, considerato che l’educazione alla cittadinanza coincide in senso lato con l’educazione in generale? La scuola, obiettano gli insegnanti, non può sostituirsi anche in questo campo alle carenze familiari e ambientali e combattere da sola la tendenza sempre più marcata all’indifferentismo, all’insensibilità sociale, all’assunzione di opinioni preconcette, alla critica totalizzante e demolitiva.

Eppure non si può non convenire sul fatto che un intervento educativo esterno debba potersi innestare su quello della famiglia e, in taluni casi, debba addirittura sostituirlo. Ne consegue che tale apporto debba essere precoce, tempestivo, di forte richiamo, a fronte dei fenomeni cui sono esposti i bambini fin dai primi anni di scolarità, soprattutto in situazioni ambientali degradate: invasività dei media, bullismo, alcoolismo, tossicodipendenza, gioco d’azzardo…

Mai come oggi ci si rende conto di quanto l’ambiente di appartenenza, a partire da quello familiare, sia determinante, nel bene e nel male, nel pervadere le componenti più recondite e meno razionali della personalità in formazione. Mai come oggi si fa pressante il richiamo all’autonomia e alla responsabilità, due fattori essenziali della maturazione individuale, posti in relazione inscindibile fra loro: è autonomo e responsabile chi sa dominare le variabili della complessità esistenziale, rispettare e osservare le regole di convivenza, accogliere e comprendere la diversità, interiorizzare il concetto di comunità e di tensione al bene comune, sottoporre a critica costruttiva gli stimoli e i richiami provenienti dall’ambiente.

Una non - disciplina
Nella temperie culturale d’oggi viene rilanciato, da parte di educatori e di studiosi, l’invito ad affrancare l’educazione alla cittadinanza in Italia da quella condizione di impalpabilità in cui si trova dal 1958, momento della sua istituzione ad opera del Ministro Aldo Moro.

A differenza di quanto avviene negli altri stati europei, dalla Francia alla Gran Bretagna, dai Paesi dell’Est ai Paesi Scandinavi, l’educazione alla cittadinanza da noi è una non - disciplina, priva di programmi prescrittivi, di docenti espressamente formati, di metodologie, di manuali didattici, di tempi di apprendimento loro propri, di una valutazione specifica.

E'pur vero che i programmi d’oltralpe peccano sovente di precettismo e che in Italia si guarda ancora oggi con giustificato sospetto al tentativo di ripristinare un tipo di indottrinamento che possa in qualche modo rievocare i tempi della dittatura. La formazione del cittadino è per natura sua un’educazione totalizzante e come tale deve poter essere non solo e non tanto informativa, bensì creatrice di competenze profonde, mirata all’azione, al cambiamento di mentalità, alla formazione di spirito critico.

A proposito di programmi
Un forte richiamo all’aspetto formativo dell'“educazione civica” ci proviene in particolare dai programmi degli anni ottanta, quando si assume più che mai la coscienza che educare consiste prioritariamente nel formare la capacità di partecipare ai valori della cultura e della civiltà e che convivere implica la consapevolezza delle proprie idee e la responsabilità delle proprie azioni alla luce di valori riconosciuti e di criteri di condotta chiari e coerenti.

In questo senso i Programmi d’Insegnamento della Scuola Media emanati nel 1979 collocano l’educazione civica tra le premesse fondanti di una scuola che sviluppi la personalità in tutte le direzioni (etiche, sociali, affettive, intellettive, operative, creative…), che avvii ad operare scelte realistiche e a disegnare progetti di vita credibili e praticabili.

Quanto ai Programmi per la Scuola Elementare, che hanno visto la luce nel 1985 in una stagione di marcato richiamo culturale, viene assegnato all'“educazione alla convivenza democratica” il compito di orientare il soggetto affinché prenda coscienza del valore della coerenza fra ideale assunto e impegno personale, tra autonomia e responsabilità, tra indipendenza di giudizio e cedimento passivo alla pressione sociale, tra il chiedere giustizia e il farsi giustizia.

Da allora in poi l’educazione civica si è connotata non tanto come una disciplina quanto piuttosto come una premessa trasversale e prioritaria rispetto alle discipline. Collocazione questa più che dignitosa, in quanto diventa di competenza di tutti gli insegnanti, visto che tutti gli aspetti della conoscenza pongono problemi di etica e di socialità.

Ma la sua attribuzione generica al contesto scolastico, considerato di per sé educativo, può significare in taluni casi non assegnare il compito a nessun docente specifico e può comportare i rischi dell’occasionalità, della dispersione, dell’anonimato, della disparità di intervento a seconda del diverso modo di credere e di aderire ai valori della cittadinanza e della legge da parte del mondo adulto.

Di fatto i programmi dei primi anni del duemila - Moratti (2004), Fioroni (2007), Profumo (2012) - considerano l’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza una sorta di appendice della storia, pur non negandone l’importanza e la primarietà. In tal modo gli insegnanti sono portati a subordinare tale educazione alla storia, a cui assegnano già peraltro spazi avari e poco compatibili con l’esigenza di imprimerle un’impronta creativa e costruttivista.

Una legge abortita
Nel marzo del 2008 la ministra Gelmini presentava alla stampa un documento di indirizzo per l’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione”, prendendo lo spunto dalla commemorazione della strage di Capaci. “L’ora di educazione civica va ripristinata in modo forte. Non deve essere un luogo di svago, ma un momento in cui i giovani riscoprano l’appartenenza allo Stato. La scuola ha un ruolo fondamentale nell’insegnare la legalità e mira alla realizzazione del compito educativo consistente nel fondamentale rapporto che lega la Scuola alla Costituzione”. L’appello alla trasversalità dei problemi e dei valori, che dovrebbe riguardare tutte le discipline, veniva considerato importante, ma non sufficiente a garantire l’attenzione efficace di tutti i docenti nei confronti delle “emergenze educative” e delle richieste sempre più pressanti della nostra società complessa.

In effetti il documento di indirizzo, preliminare a quello che doveva essere un disegno di legge, prevedeva l’introduzione di una disciplina specifica, denominata appunto “Cittadinanza e Costituzione”, valida per il primo e il secondo ciclo di istruzione e compresa nell’area storica – geografica – sociale. Prevedeva un monte ore annuale di 33 ore e doveva essere soggetta a una specifica valutazione.

Ma, abbandonato il disegno di legge, la legge n. 169, che veniva varata il 30 ottobre 2008, diventava più “prudente” e assai meno innovativa ed efficace rispetto alle premesse, in quanto rinviava il problema a generiche “azioni di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti e ad una sperimentazione nazionale”.
Solo se il provvedimento legislativo fosse andato in porto, l’educazione alla cittadinanza sarebbe assurta a dignità di disciplina.

Se si trattasse di una vera disciplina…
Il monte di 33 ore consentirebbe l’attribuzione specifica all’area “Cittadinanza e Costituzione” di un’ora settimanale. Non che sia molto, ma rappresenterebbe almeno un impegno inderogabile a rivolgere l’attenzione ai problemi di più forte rilevanza. E non ci si venga a dire che l’assetto disciplinare possa dare origine ad un nozionismo puro e semplice: il nozionismo scaturisce da un insegnamento male impostato e povero di valori e di richiami, dando luogo a interventi occasionali e non sistematici; inoltre rappresenta la degenerazione di quel complesso di competenze e di consapevolezze che sono la base necessaria per un’impostazione attiva e operativa della materia.

La valutazione delle competenze sarebbe lo strumento più idoneo per stabilire il come e il quanto di una crescita individuale e assorbirebbe quel voto di condotta che non dovrebbe in tal modo limitarsi a premiare i comportamenti di coloro che “non danno fastidio”.

E parliamo ora di insegnanti. Considerato che al presente si impone in generale al solo docente di storia e geografia il compito di occuparsi pure di educazione alla cittadinanza, c’è da chiedersi se non sia praticabile un lavoro di team, seriamente programmato e organizzato con metodo, tanto nella scuola primaria quanto nella secondaria. Pensiamo ad esempio, per la scuola di ogni ordine e grado, all’utilizzo dei docenti assegnati in organico aggiuntivo e in particolare di quelli di diritto, a proposito della cui presenza si sono levati da più parti cori di protesta perché li si riteneva sovrabbondanti e poco produttivi.

Per quanto concerne poi i contenuti, in assenza di programmi ministeriali prescrittivi, ogni scuola o rete di scuole sarebbero chiamate a elaborarli e a sperimentarli partendo dalle esigenze e dalle criticità dell’ambiente di appartenenza.

Qualche proposta
Nei numeri della rivista che seguiranno riteniamo utile suggerire e avviare la trattazione di una serie di temi tra i molti che potrebbero essere proposti ad alunni di varie età, a partire da quelli della scuola dell'infanzia sino a quelli, certo molto più delicati e complessi, che coinvolgono i ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Teniamo presente che non pochi argomenti, a livelli diversi di articolazione e di sistematicità, possono essere presi in esame in età diverse e nei vari gradi di scolarità.

Alcuni di quelli qui in seguito citati potrebbero essere affrontati in questa sede anche solo nelle loro linee essenziali:
:: Autonomia e responsabilità: la regola nel gioco e in situazioni non controllate dagli adulti
:: Il giudizio dei bambini sulle persone e le categorie sociali di cui hanno conoscenza
:: Il rispetto di ciò che è di tutti: l’ambiente come patrimonio comune
:: Elementari competenze di microeconomia
:: Consuetudini, tradizioni, norme, leggi. Gli articoli più significativi e fondanti della Costituzione Italiana
:: La realtà dell’Europa d’oggi. Problemi e drammi della società dei giorni nostri.

Come si vede, alcune delle tematiche, complesse, articolate e di particolare delicatezza, trascendono indubbiamente la capacità di comprensione dei bambini di scuola primaria, ma talune realtà del mondo d’oggi possono indurli a riflessioni alla loro portata.

In ogni caso l’approccio ai temi non dovrà mai assumere carattere nozionistico e precettistico, ma ogni possibile conoscenza dovrà poter dar luogo a competenze e a consapevolezze fondate sulla riflessione e sulla discussione derivanti dall’apporto delle diverse personalità di una classe.

In particolare tale approccio dovrà poter suscitare il bisogno di elaborare e di realizzare progetti concreti (iniziative di appoggio dei compagni più fragili, cura di un luogo pubblico, azioni di volontariato presso comunità di anziani o di disabili…) che eludano la retorica e l’astrattezza dei luoghi comuni e invitino a impegnarsi concretamente e a “sporcarsi le mani”.

(Continua...)