Didattica della storia nella scuola primaria

di Lia Ferrero

CLASSE SECONDA
L'ORIZZONTE SI ALLARGA

Siamo in seconda. Dopo aver portato gli alunni ad esplorare alcuni aspetti della loro crescita nelle sue componenti più significative - il gioco, il linguaggio e l’espressione iconica - l’orizzonte spazio-temporale assume dimensioni più ampie e presenta sfaccettature più numerose, composite e meno facilmente esplorabili.

Com’era l’infanzia dei genitori? E quella dei nonni? E quella dei bisnonni? Il cammino si compie per questo tratto a ritroso e abbraccia un arco temporale di circa ottant’anni. È uno “scavo” che cerca di ricuperare un passato via via più remoto, facendo rivivere eventi e processi che hanno caratterizzato per vari aspetti le condizioni di vita e i modi di essere e di pensare delle generazioni che hanno preceduto quella a cui i bambini appartengono. Si tratta in buona sostanza di ricostruire una microstoria che si colloca, spontaneamente e gradualmente, nell’alveo della storia italiana più recente.

La memoria scaturisce in generale dalla testimonianza di coloro che hanno vissuto episodi ed eventi non necessariamente eccezionali, ma certamente significativi di un’epoca, di un modo di vivere e di concepire realtà concrete, a volte drammatiche, complesse e contraddittorie come la guerra, le distruzioni e gli sfollamenti, o come l’imporsi dell’industria, i movimenti migratori e lo stemperarsi di una cultura agricola e paesana in agglomerati urbani di periferie anonime, destrutturate, spesso disumanizzanti.

Proprio risalendo a ritroso i decenni del Novecento cercheremo di proporre una serie di testimonianze offerte da genitori, nonni e bisnonni che raccontano, mescolando a volte le impressioni personali con il reale svolgersi degli eventi. Tali testimonianze, unite ai documenti tratti da fotografie, lettere, oggetti di uso domestico, paesaggi e scenari, si prestano a dare un volto per quanto possibile veritiero alle varie epoche.

Occorre precisare a monte che le testimonianze e i documenti che suggeriamo si propongono come meri esempi: non mancherà certo all’insegnante l’opportunità di attingere ad altre testimonianze, offerte da adulti o anziani che hanno vissuto episodi significativi verificatisi durante la loro infanzia e nel loro contesto di vita: bombardamenti, sfollamenti, lotte partigiane, aspetti positivi e negativi dell’industrializzazione e dello sviluppo economico e tecnologico…

Documenti e testimonianze si concretizzano in un tessuto narrativo al cui interno trovano la loro ragion d’essere alcuni spunti di riflessione, espressi perlopiù attraverso quesiti sottoposti via via agli alunni.

I problemi che si prestano a essere discussi in classe possono a volte riguardare situazioni e congiunture dolorose che inducono a riflessioni amare, ma non dimentichiamo che avvicinarsi alla storia comporta, sin dalla scuola primaria, esplorare realisticamente i problemi concreti e spesso scottanti che vengono affrontati dalla gente comune di una determinata epoca e di un determinato contesto socio – culturale. I quadri di civiltà s’intessono di una pluralità di fattori morali, sociali, economici, religiosi, psicologici e sono scanditi da cicli di progresso e di recessione, di benessere e di crisi. I bambini non possono ignorarli, se devono poter imparare a leggere le vere trame della storia vissuta, al di là delle pagine scarne o immaginifiche dei libri di testo.

L’infanzia dei genitori

La media dei genitori potrebbe aver trascorso l’infanzia nel decennio 70/80 del Novecento. L’eterogeneità della classe si presta ad arricchire la memoria e la narrazione, considerando la diversità della loro provenienza, del loro contesto di vita, degli episodi da loro vissuti.

I casermoni

I villaggi operai che sorgono nelle periferie e nella prima cintura delle città del nord a partire all’incirca dagli anni sessanta rappresentano uno scenario che offre lo spunto per una elementare presa di coscienza di alcuni dei problemi più evidenti che caratterizzano il periodo: espansione dell’industria e intensificarsi del flusso migratorio, urbanizzazione selvaggia, bisogni assistenziali, inquinamento e salute, necessità di evasione, turismo sano e abbuffate fuori porta…

Angela, la mamma di Claudia, proveniva da un paese della Puglia. Il suo papà era stato assunto a suo tempo dalla FIAT di Torino e, dopo vari anni di lavoro, aveva avuto in assegnazione un alloggio nuovo in un complesso di case popolari di dieci piani della periferia della città. A vederli dall’alto, i “casermoni” sembravano scatole di fiammiferi allineate e talmente vicine tra loro, che non lasciavano il posto a spazi verdi. In questo singolare villaggio non vi erano negozi e solo col tempo si improvvisò un piccolo mercato con poche bancarelle di frutta e verdura. La chiesa era una costruzione modesta e non poteva disporre di un oratorio che accogliesse i bambini. La scuola era talmente affollata che si dovevano fare i doppi turni: uno al mattino, uno al pomeriggio; la mensa funzionava per ogni bambino un mese sì e un mese no. Il quartiere aveva assunto, come vari altri, l’appellativo di “dormitorio”.

Non lontano sorgeva una fabbrica dove il metallo che proveniva dalle miniere veniva depurato dalla roccia da cui era stato estratto: era una fonderia. Una volta alla settimana il metallo veniva fuso a temperature altissime e in quei momenti si sentiva un lungo boato e dalle ciminiere usciva un fumo rossastro, denso, puzzolente che oscurava il cielo e faceva bruciare gli occhi e la gola dei bambini che giocavano all’aperto. Solo dopo qualche ora si riusciva a rivedere il sole.

Lo scenario dell’agglomerato urbano privo di servizi si presta a dare origine ad alcuni interessanti spunti di riflessione: l’immigrazione massiccia conseguente al richiamo dell’industria; lo sradicamento delle famiglie provenienti in prevalenza da realtà rurali del sud; l’affollamento degli alloggi da parte di parenti e di compaesani immigrati che avevano trovato anch’essi lavoro nella grande città; la mancanza di spazi verdi per i bambini, costretti a giocare nei cortili o sulla strada; la funzione assistenziale assunta dalla scuola che si sarebbe trasformata a poco a poco in scuola a tempo pieno; la pressoché totale assenza di servizi: ambulatori medici, farmacie, centri d’assistenza…

• Perché i quartieri operai della grande città venivano chiamati “dormitori”?
• Che cosa mancava loro per rendere vivibile la vita degli abitanti?
• Quali vantaggi e quali svantaggi essi offrivano alle famiglie provenienti dal sud rispetto ai loro paesi di provenienza?
• Quali motivi avevano spinto le famiglie come quella di Claudia a emigrare alcuni anni prima in una città del nord?

Aria di montagna

Al margine di questi agglomerati urbani sorgevano non di rado complessi di fabbriche inquinanti che lavoravano il cemento o i metalli e che rappresentavano un pericolo costante per la salute: le malattie broncopolmonari erano le più diffuse. Giovanna, la mamma di Federico, aveva il papà medico: visitando i suoi pazienti, egli si rendeva conto dei danni che procurava, agli adulti e ai bambini, l’aria inquinata della città. Per questo motivo, quando la stagione e il tempo lo consentivano, caricava tutta la famiglia sull’auto per una gita in montagna.

“La montagna fa sangue” era solito dire. Che cosa poteva significare quella frase?

• Che i bambini si sarebbero sbucciati le ginocchia durante la salita
• Che l’aria di montagna e il movimento… (continuate voi)

La macchina percorreva la strada di una ripida vallata alpina e si fermava in una borgata sperduta. Qui la strada carrozzabile si trasformava in una mulattiera o in un sentiero che portava, dopo ore di arrampicata, a un laghetto limpido e gelido o a un pianoro erboso dove sorgeva un gruppo di malghe.

Provate a interrogarvi e a discutere in classe.

• Che cosa può aver scavato le valli alpine?

Delle enormi ruspe azionate dagli uomini
Il ghiaccio delle montagne che scivolava lentamente in basso
L’acqua del torrente che ancora oggi le percorre

• Che cos’è un pianoro erboso?
• A che cosa servono le malghe?
• Perché le acque del laghetto sono limpide e gelide?

Il ritorno in città avveniva a tratti a passo d’uomo, in coda a centinaia di altre macchine con i loro puzzolenti tubi di scappamento

• Perché le auto procedevano a passo d’uomo?
• Com’erano in quegli anni le strade che portavano in città?
• Erano già frequenti le autostrade che congiungevano la montagna alla città?

Il papà brontolava: “Un ritorno del genere fa perdere tutto il beneficio di una giornata di montagna!” Ma era pronto a ricominciare la domenica successiva.

Lungo la strada del ritorno Giovanna notava, sul ciglio della strada, intere combriccole di parenti e amici che incominciavano a… sparecchiare. Erano arrivate al mattino, avevano aperto i bagagliai delle macchine e avevano scaricato borse termiche, bottiglioni di vino, fornelli a gas, bombole, pentolame, stoviglie, grandi tovaglie di plastica colorata e ancora cavalletti, assi, sdraio, ombrelloni, intere attrezzature per cucinare la carne alla brace… Mancava solo il frigorifero di casa.

• Che cosa sono le borse termiche? Si usano ancora oggi?
• A che cosa dovevano essere collegate le bombole del gas?
• A che cosa potevano servire le assi e i cavalletti?

Verso mezzogiorno le famiglie incominciavano a mangiare e a bere e il pranzo si protraeva a volte fino a sera, quando i gitanti ricaricavano il tutto nei bagagliai e si mettevano in coda per il ritorno.
La riflessione su questi comportamenti, in uso ancora oggi, viene spontanea.

• Era opportuno fermarsi e scaricare gli armamenti sul ciglio della strada?
• Non sarebbe stato possibile camminare un po’ per allontanarsi dal traffico e dall’inquinamento?
• Era salutare mangiare a crepapelle dal mattino alla sera?
• Era sufficiente per uomini e ragazzi dare qualche calcio al pallone?
• Dove finiva il beneficio della campagna o della montagna?

L’infanzia dei nonni

L’orizzonte temporale si allarga ulteriormente e raggiungiamo, a ritroso, gli anni in cui i nonni dei bambini possono verosimilmente aver vissuto la loro infanzia: il decennio 50/60.
Possiamo pensare che le testimonianze siano più sfumate e meno precise, ma i nonni hanno in genere buona memoria.

La casa di ringhiera

Oggi è venuto in classe Vito, il nonno di Davide: l’avevamo invitato perché ci raccontasse qualche episodio della sua infanzia.
Vito aveva otto anni e viveva in un paese della Calabria con i genitori e due fratelli: Vincenzo, maggiore di due anni e Carmela, di cinque anni. Suo padre era contadino e la sua casa aveva solo due stanze, una stalla e un fienile, ma il clima era così mite, che, nella buona stagione, la vita si svolgeva nel cortile o nel prato alberato. Le estati erano caldissime e asciutte, gli inverni non erano molto rigidi: Vito non sapeva che cosa fosse la neve. Ma le annate erano spesso magre a causa della siccità o delle forti piogge autunnali che provocavano anche alluvioni e frane. Per questo la famiglia non di rado soffriva la fame; non rimaneva che emigrare al Nord, dove l’industria, che incominciava ad espandersi, richiedeva mano d’opera e dove si erano già sistemati alcuni compaesani.

In una rigida giornata d’inverno Vito scese da un treno affollato e ingombro di bagagli di ogni tipo. Sulla banchina nevicava e il freddo gli penetrava nelle ossa, perché era coperto solo da una giacchetta stretta e corta di maniche.

La sua prima abitazione era un modesto alloggio di due camere in una vecchia casa di una cittadina della cintura di Torino. Le camere, come quelle dei coinquilini, si affacciavano su un ballatoio di passaggio e i gabinetti, privi di acqua potabile, venivano usati da tutte le famiglie del piano. I ragazzini avevano solo un cortile a disposizione, ma era loro proibito giocare al pallone, perché facevano rumore e spesso rompevano vetri.

La famiglia ora disponeva di un salario, ma non sarebbe bastato se la mamma non avesse fatto alcuni servizi in varie famiglie. Vito e Vincenzo frequentavano la scuola al mattino e il doposcuola fino a metà pomeriggio, Carmela era stata accolta alla scuola materna. Nei pomeriggi d’inverno la cucina era triste e buia, rischiarata solo da una lampadina che pendeva dal soffitto; la mamma rientrava tardi e occorreva inoltre parlare sottovoce per non svegliare il papà, che dormiva prima di affrontare il turno di notte.

• Quanti alunni della classe hanno avuto i nonni emigrati dal sud? Come si svolgeva la loro giornata?
• Di che cosa sentivano maggiormente la mancanza?
• Provavano nostalgia per il paese da cui provenivano?
• Vito era un bimbo sveglio e intelligente, ma a scuola faceva fatica a imparare: secondo voi, per quali motivi?

Arriva il frigorifero
Chiara riferisce ai compagni il racconto fattole della nonna.
Quando era piccola, negli anni cinquanta, nonna Ernestina aveva in casa una ghiacciaia, come tante altre famiglie: il ghiaccio veniva distribuito a blocchi dai venditori che passavano con il carro o con un camion sgangherato che faceva il giro del quartiere. Ma la ghiacciaia aveva un sacco di inconvenienti: lo spazio per contenere i cibi era troppo piccolo perché occorreva un altro spazio per contenere il ghiaccio. Questo fondeva facilmente, soprattutto nella buona stagione, e i cibi si alteravano facilmente.

• La spesa poteva esser fatta una o due volte alla settimana come si fa oggi, andando al supermercato? Se no, perché?
• Esistevano già i supermercati?
• Che cosa c’era al loro posto?

Un giorno nonna Ernestina vide arrivare a casa sua un frigorifero moderno, una specie di mobile di metallo bianco laccato che quasi non trovava posto in cucina. Per lei aveva qualche cosa di magico: quando fu innestata la spina nella presa di corrente, il frigo si mise a ronfare come un gatto. A distanza di giorni gli alimenti che erano stati messi a conservare si mantenevano freschi e non cambiavano sapore.

Una vicina di casa di Ernestina aveva comprato anch’essa un frigorifero della miglior marca e perciò invitava a turno le sue amiche per mostrare loro quella meraviglia. Per questo voleva a tutti i costi offrir loro una limonata, visto che nel frigo a volte teneva solo un limone e una bottiglia d’acqua del rubinetto. Se queste rifiutavano, un po’ per invidia, un po’ perché non avevano sete, si sentiva molto delusa: non poteva aprire il portellone e non poteva far ammirare l’interno del frigorifero con tutti i suoi scomparti e con le luci che si accendevano e lo facevano brillare.

L’infanzia dei bisnonni

Non tutti gli alunni della classe hanno i bisnonni ancora in vita, ma la loro infanzia dovrebbe aver coperto mediamente un arco compreso tra gli anni 30 e 40/45: durante la seconda guerra mondiale erano dunque in buona parte bambini o ragazzi.
I bisnonni raccontano a lungo, rievocando scenari di bombardamenti, di fame, di sfollamenti, di perdite di persone care, offrendo ai bambini l’opportunità di venire a conoscenza di una realtà che la vita di oggi mai avrebbe lasciato loro supporre.
Bombe sulla città

La signora Silvia, la bisnonna di Alessandro, viene invitata in classe. Ha superato gli ottant’anni, ma ha un’ottima memoria e racconta volentieri. A volte però deve interrompersi perché le viene il nodo in gola.

“Avevo sette anni e avevo iniziato la seconda. Ricordo un mattino, all’alba di un lontano mese di novembre dell’inizio della guerra. Il cielo era rosso per i bagliori degli incendi provocati dalle bombe sganciate nella notte sulla città. Io seguivo, con i miei genitori e la mia nonna, un carretto trainato a mano da un conducente sconosciuto, sul quale era stato caricato l’essenziale per sopravvivere all’inverno che era alle porte.

Lasciavo la mia casa, il mio rione, i miei giochi, la mia scuola ed ero triste e disorientata. Non sapevo bene dove fossimo diretti: i miei genitori nominavano un paese della cintura di Torino dove speravano non arrivassero i bombardamenti. Faceva freddo e io mi stringevo addosso il mio cappottino leggero. Stavamo sfollando; come noi, altre famiglie si dirigevano verso la periferia spingendo un carretto simile al nostro”.

La maestra prega la signora Silvia di interrompere un momento il suo racconto e di aiutarci a riflettere.

• Che cos’era un bombardamento?
• Chi sganciava le bombe?
• Che cosa provocava una bomba quando colpiva una casa o una fabbrica?
• Che cos’erano i rifugi antiaerei?
• Erano sempre sicuri?
• Ne sono rimasti alcuni?
• Si potrebbero ancora visitare?
• Che cosa significa “sfollare”?
• Era indispensabile sfollare?
• Che cosa poteva provare la piccola Silvia fuggendo dalla città?

Il racconto dell’anziana signora riprende.
“Siamo arrivati, non ricordo come, nel paese destinato e ci siamo accampati in uno stanzone di una villa abbandonata: tutte le altre stanze erano già occupate da famiglie sfollate come noi. La stufa che abbiamo trovato era minuscola; la legna, non bene stagionata, non prendeva fuoco e faceva fumo. I muri trasudavano umidità; i vetri delle finestre, quelli che c’erano ancora, si coprivano in inverno di incrostazioni di ghiaccio. Al posto dei vetri mancanti i miei genitori avevano sistemato dei pannelli di legno compensato: uno di essi aveva un foro al centro per far passare il tubo della stufa.
A causa del freddo avevo i geloni ai piedi e alle mani; allora la mamma sfilava dai materassi un po’ di lana e la portava a un’anziana signora che la filava. Con quella lana, ruvida e bianca, la nonna confezionava ai ferri guanti e calzettoni che pungevano le mani e i piedi, ma almeno mi guarivano i geloni”.

• Che cosa sono i geloni? Oggi ne soffrite ancora?
• Sapreste far funzionare una stufa a legna?
• A che cosa poteva servire il tubo che usciva dalla finestra?
• Perché mancavano i vetri?

Perché la villa era vecchia e abbandonata
Perché i bombardamenti sulla città, che non era lontana, spesso provocavano degli spostamenti d’aria che li mandavano in frantumi.
La tessera annonaria

Dopo la seconda pausa di riflessione la signora Silvia prosegue.
“Mangiavamo poco e male perché il cibo scarseggiava: il pane era una specie di poltiglia grigiastra dove trovavamo a volte pezzi di spago e sassolini; la farina sembrava gesso; la carne era scarsa e sempre dura e grassa; il burro mancava del tutto, l’olio aveva un sapore strano; la marmellata conteneva, al posto della frutta, una gelatina zuccherosa; il cioccolato era fatto di farina di castagne; il caffè mancava del tutto. Al suo posto usavamo l’orzo: tostavamo i chicchi sulla stufa, in una specie di tegame metallico dotato di una manovella e li tritavamo in appositi macinini. E dire che, per comprare quelle poche cose, bisognava fare code di ore con il pericolo continuo dei bombardamenti.

Era possibile acquistare solo quello che consentiva la tessera annonaria, che veniva assegnata dal Municipio a ogni capofamiglia per ciascuno dei suoi componenti e i controlli erano molto rigidi.

Il paese era circondato dai campi e dagli orti e sovente ci rivolgevamo ai proprietari delle cascine per avere un po’ di latte, di burro, di farina, ma avevamo pochi soldi; per questo i contadini chiedevano in cambio piatti, tovaglie e oggetti di valore e noi ci rassegnavano a privarcene, perché altrimenti non saremmo riusciti a toglierci la fame.

Quando la guerra era finita da poco e riprendeva molto lentamente la vita, mi recai a Torino per una giornata sola, perché l’alloggio che avevamo in città era stato distrutto. In quell’occasione la mamma mi comprò due etti di frammenti di biscotti e io feci festa come davanti a una torta di panna e lamponi.

• Perché il cibo scarseggiava in tempo di guerra? Tutte le risposte seguenti possono essere in parte esatte.
Perché bisognava rifornire i soldati al fronte

Perché i campi producevano poco, in quanto mancavano le sementi e i concimi adatti
Perché erano state distrutte parecchie fabbriche che producevano generi alimentari
Perché molti prodotti non arrivavano più dai paesi fuori dall’Italia
Con la tessera annonaria si potevano comprare anche sapone e detersivi.

• Secondo voi, i detersivi del tempo di guerra erano così abbondanti e delicati come quelli di oggi?
• In qualche angolo della vostra casa o della vostra soffitta si conserva ancora un tosta-orzo o un macinino a manovella?
• Secondo voi, in tempo di guerra si beveva acqua minerale?
• In varie case o cascine non vi era l’impianto di acqua potabile: dove si attingeva dunque l’acqua da bere? Come si faceva?

E le domande che inducono le riflessioni possono continuare…

(Continua...)