di Piergiuseppe Menietti
TERZA PARTE: “L’ASSEDIO DI TORINO DEL 1706”
La resistenza contro l’armata franco-spagnola fu possibile soprattutto grazie all'apparato difensivo cittadino. A tale proposito occorre ricordare che, quando veniva deciso di ingrandire la città, prima di tutto si provvedeva ad erigere le poderose fortificazioni della cinta e solo successivamente si procedeva alla costruzione di chiese e palazzi. Fu così che il terzo ampliamento, quello ad ovest, venne protetto dai bastioni fin dal 1702, ma venne provvisto di edifici solo intorno al 1719, principalmente ad opera di Filippo Juvarra.
L'ambizioso progetto urbanistico fu dovuto a VITTORIO AMEDEO II, il Duca che si trovò a reggere il trono sabaudo nel corso della sanguinosa guerra di successione spagnola.
Il 1° novembre 1700 il re di Spagna Carlo II morì senza eredi ed il suo trono ebbe due pretendenti principali: Filippo duca d'Angiò, nipote del re di Francia Luigi XIV e Carlo d'Asburgo, secondogenito dell'imperatore Leopoldo I. All'aprirsi del conflitto per la successione, la Francia si alleò con la Spagna contro la grande alleanza, costituita dall'Impero, dall'Inghilterra, dall'Olanda e – più tardi – dal Portogallo.
Per ragioni diplomatiche, il duca di Savoia Vittorio Amedeo II si schierò dalla parte francese poi, nel 1703, poté abbandonare il re Sole, alleato pretenzioso ed infido, schierandosi con l'Impero.
La potente armata francese marciò verso Torino conquistando le piazzeforti sabaude, ma fu bloccata per sei mesi – dall'ottobre del 1704 all'aprile del 1705 – dalla fortezza di Verrua.
Dopo un periodo di riorganizzazione, i soldati del Re Sole ripresero la marcia verso Torino, ma furono seriamente ostacolati dalla resistenza sabauda tra Castagneto e Chivasso.
Il saggio e maturo comandante Luigi di Vendôme dovette abbandonare le truppe per portarsi nella Lombardia, insidiata dal Principe Eugenio di Savoia-Soissons e lasciò il comando al giovane e coraggioso, ma inesperto duca di La Feuillade, che giunse in vista di Torino con 21.000 uomini. Se avesse attaccato la città presidiata da soli 4.000 soldati e non ancora perfettamente pronta ad un attacco nemico, l'avrebbe quasi sicuramente conquistata.
Invece, dopo un tentativo di cannoneggiamento e lo scavo di alcune trincee, preferì ritirare le truppe nell'albese per trascorrere l'inverno. Era il 13 ottobre del 1705.
I Francesi tornarono a Torino il 12 maggio 1706 e furono accolti da un'eclissi totale di sole. Le tenebre calarono fitte e, tra lo sbigottimento della gente che osservava l'inconsueto fenomeno, gli astrologi trassero un ottimo auspicio. Il sole, simbolo del Re di Francia, spariva dal cielo mentre si rendeva ben visibile la costellazione del Toro, che rappresentava la nostra città vincitrice.
Il giorno successivo, i Francesi - a cui si erano aggiunte truppe spagnole - iniziarono l'assedio in piena regola: il loro esercito contava circa 44.000 uomini, mentre il nerbo dei difensori di Torino non superava le 10.500 unità.
Il blocco della capitale subalpina si avviò secondo regole molto precise e fu attuato cingendo la città, dalla riva destra della Stura alla zona a sud del Valentino, con due grandi opere di fortificazioni campali: la circonvallazione e la controvallazione. Le cascine dei dintorni divennero sede dei servizi logistici e furono anche utilizzate come alloggi per gli ufficiali.
Il poderoso parco delle artiglierie dei Francesi venne ripartito su tre obbiettivi: l'opera a corno, che difendeva la zona di Valdocco, la ridotta di Porta Susina e, soprattutto, la Cittadella, che successivamente avrebbe assorbito tutte le forze degli attaccanti ad eccezione di quelle che presidiavano la collina.
Il fronte di attacco fu stabilito nella zona dell'attuale stazione ferroviaria di Porta Susa dove, all'epoca, sorgevano i poderosi bastioni di San Maurizio e del Beato Amedeo e la Mezzaluna del Soccorso a loro interposta.
Benché La Feuillade palesasse una certa sicurezza, l'attacco alla cittadella parve subito molto difficile per le grandi e veloci trasformazioni subite dalla fortezza durante l'inverno precedente. I bastioni verso la campagna erano stati rinforzati con delle opere a "V" dette controguardie e le difese avanzate erano migliorate al punto di sconvolgere i precostituiti piani di attacco, redatti dall'ingegnere militare Lapara de Fieux.
Anche nel sottosuolo si era lavorato parecchio, ampliando la fitta rete di gallerie sotterranee che avevano funzioni di contromina (per intercettare lo scavo di cunicoli che avrebbero permesso al nemico di raggiungere sottoterra gli apparati difensivi sabaudi) e di mina (per predisporre cariche di polvere nera atte a travolgere, esplodendo, i cannoni e gli apprestamenti degli attaccanti).
Il sottosuolo di Torino, caratterizzato da un duro e resistentissimo conglomerato alluvionale detto puddinga o grigia (in piemontese grisa) permise lo scavo di quattordici chilometri di gallerie.
Lungo le bisettrici dei tre bastioni e delle due mezzelune verso la campagna si dipartivano – a circa 12-14 metri sottoterra, appena sopra la falda acquifera cittadina – le gallerie dette capitali basse. Oltre i fossati, ad una profondità di circa 6-7 metri, iniziavano le gallerie capitali alte, che seguivano parallelamente l'andamento delle basse.
Le gallerie del livello alto erano comunicanti tra di loro tramite la lunga galleria magistrale che seguiva, nel sottosuolo, il tracciato del fossato della cittadella.
Perpendicolarmente alle gallerie capitali ed alla magistrale, si dipartivano altri cunicoli di minore altezza che, debitamente riempiti di terra e tappati ermeticamente con particolari chiusure di legno, assicuravano il perfetto intaso della carica di polvere nera. Questa, esplodendo, produceva terribili effetti in superficie coinvolgendo cannoni e soldati nemici.
Nota bene: la breve sintesi da me presentata, potrà essere integrata leggendo "La verità storica su Pietro Micca", di Guido Amoretti. Oltre a descrizioni accurate, l'opuscolo presenta numerose illustrazioni.
Isolata la città con le linee trincerate di circonvallazione e di controvallazione, i Francesi iniziarono lo scavo delle trincee di avvicinamento alla cittadella.
Queste procedevano a zig-zag sulla bisettrice delle opere da attaccare, dove il volume di fuoco era minore. A distanze preordinate venivano poi apprestate trincee più grandi, parallele al fronte di attacco, nelle quali erano posti mortai e cannoni.
Un'altra notevole manovra francese fu quella d'impedire il deflusso delle acque della Dora nei canali che, al Borgo Dora, azionavano le ruote a pale, fonte di energia per varie fabbriche fra cui quella della polvere pirica. Le macchine del polverificio furono mosse a mano.
Le vicende dell'assedio – oggetto di varie relazioni – furono riportate con esattezza e con spirito di viva partecipazione dal comandante delle artiglierie, il conte Giuseppe Solaro della Margarita (1708). Altre notizie si trovano nelle opere del religioso Francesco Antonio Tarizzo, che scrisse il Ragguaglio istorico dell'assedio... e L'arpa discordata, un poemetto in piemontese sulle vicende di Torino e dei Torinesi nell'estate del 1706.
In epoche successive furono pubblicati documenti e lettere che permettono ulteriori approfondimenti.
In estrema sintesi, ricorderò solo che gli attaccanti avevano 44.000 soldati, 110 cannoni e 60 mortai. La città, che contava 40.000 abitanti, era difesa da 10.500 soldati, con 226 cannoni e 28 mortai.
Dopo aver provveduto all'allontanamento dei suoi familiari verso la Liguria, il 17 giugno Vittorio Amedeo II lasciò Torino e, grazie alla mobilità del reparto leggero che comandava, riuscì a farsi inutilmente inseguire per un mese da una pesante colonna nemica guidata da La Feuillade in persona.
L'assedio continuò durissimo: a ferragosto i 44.000 gallo-ispani erano ridotti a 27.000, mentre sui torinesi iniziò ad incombere la preoccupazione per la scarsità di polvere nera.
Nella notte tra il 29 ed il 30 agosto avvenne l'episodio di Pietro Micca. Il minatore ventinovenne non esitò a morire eroicamente per evitare l'ingresso dei Francesi nelle gallerie sotterranee della cittadella. Il suo gesto, enfatizzato dalla storiografia ottocentesca, fu attentamente ricostruito in base agli studi dello storico Antonio Manno e – soprattutto – grazie al ritrovamento della scala esplosa avvenuto nel 1958 ad opera dell'allora capitano Guido Amoretti.
Visitando il Museo "Pietro Micca e dell'Assedio di Torino del 1706" è possibile rivivere l'episodio di Pietro Micca raggiungendo le vestigia della scala che egli fece saltare in aria. (Vedi il seguente itinerario).
Nella città assediata, intanto, militari e civili erano sorretti da una grande speranza: l'arrivo delle truppe alleate austriache capeggiate dal celebre Principe Eugenio di Savoia-Soissons, cugino del Duca sabaudo. Il 2 settembre i cugini salirono sulla collina di Superga per studiare, dall'alto, la situazione dell'assedio e si accorsero che gli attaccanti avevano curato ben poco l'allestimento dei trinceramenti tra la Dora e la Stura.
Fu proprio su quella stretta lingua di terra che, il 7 settembre, le truppe austro-sabaude attaccarono quelle francesi assicurando, con la vittoria, la liberazione di Torino. In seguito ad un voto di Vittorio Amedeo II, il favorevole esito della battaglia fu ricordato dalla costruzione della Basilica di Superga.
ITINERARI ALLA RISCOPERTA DELL'ASSEDIO DEL 1706
MUSEO PIETRO MICCA E DELL'ASSEDIO DI TORINO DEL 1706 = via Guicciardini, 7/a - Torino - Tel. 011 546317. Visite scolastiche previa prenotazione telefonica indicando il numero degli allievi e degli accompagnatori.
I visitatori vengono accolti dalle preparatissime guide volontarie del Museo, che raccontano la storia dell'assedio e l'episodio di Pietro Micca, con l'aiuto di plastici, di documenti e di reperti d'epoca. Segue la proiezione di un filmato sull'Eroe e la visita ad un cospicuo tratto delle gallerie della cittadella, con particolare riferimento al luogo dove si svolsero le drammatiche vicende che costarono la vita al minatore.
La scala teatro degli eventi successi nella notte tra il 29 ed il 30 agosto del 1706 fu riscoperta, nel 1958, dall'allora capitano Guido Amoretti, con la collaborazione del Prof. Alessandro Molli Boffa e del fotografo Emilio Rosso. Tre anni più tardi sorse l'istituzione museale dedicata a Pietro Micca ed all'assedio di Torino.
Uscendo dal Museo, si consiglia di raggiungere il giardino Guglielminetti (già Pietro Micca) portandosi all'angolo tra via Cernaia e corso Galileo Ferraris. Alle spalle del monumento all'Eroe, modellato da Giuseppe Cassano da Trecate ed inaugurato nel 1864, sorge il:
MASCHIO DELLA CITTADELLA = unico elemento emergente salvatosi dalla distruzione ottocentesca della fortezza, fu restaurato nel 1893 dall'ingegnere Riccardo Brayda divenendo sede del Museo Storico Nazionale di Artiglieria.
Da notare l'ampio portale per il passaggio dei carri e dei pedoni, le quattro garitte che ornano il tetto a terrazza guarnito da ventotto postazioni per i cannoni e le poderose murature in mattoni umiliate dall'interramento del profondo fossato antistante l'opera. Il Maschio è al centro di un importante progetto di restauro e di un totale riordinamento delle collezioni d'armi. Al momento, però, è visitabile solo in occasione di mostre temporanee.
I ricordi della battaglia di Torino del 7 settembre 1706 si concentrano particolarmente nel:
BORGO VITTORIA = il popoloso quartiere torinese si distingue per una toponomastica fortemente legata ai personaggi storici dell'epoca. Sono ricordati, tra gli altri, i sindaci di Torino Boccardo e Nomis di Valfenera, l'arcivescovo Vibò, il governatore generale della piazzaforte Virico Daun, gli ufficiali Conte di Roccavione e Principe d'Anhalt.
Altre vie rammentano termini militari: Approcci, Fornelli, Trincee, Ridotto; mentre via Fossata trae il nome dalla cascina contesa dagli avversari durante i combattimenti.
Inoltre, una strada ed una piazza ricordano la Vittoria che coronò la battaglia di Torino. Sulla vasta area adibita a mercato, si affaccia la:
CHIESA DELLA SALUTE = progettata dall'arch. Reycend, iniziò a sorgere nel 1895. La facciata presenta due altorilievi raffiguranti Vittorio Amedeo II ed il Principe Eugenio (1906). All'interno si conservano alcuni dei piloncini votivi con incisa l'immagine della Madonna con Gesù Bambino, che il duca di Savoia aveva voluto erigere, nel 1708, intorno ai luoghi della battaglia. Nella cripta vi è un ossario che racchiude i resti di combattenti d'ogni nazione uniti dalla morte sul campo.
Concludiamo con un accenno ad un'altra chiesa non distante:
LA MADONNA DI CAMPAGNA = sorge in una delle zone dove i combattimenti furono più accaniti ed i frati dell'annesso convento si prodigarono nella cura dei feriti e nel conforto dei morenti. Vi fu tumulato uno dei comandanti francesi perito nella battaglia: il maresciallo de Marsin. L'antica chiesa fu distrutta da un bombardamento aereo della seconda guerra mondiale, che risparmiò solo il campanile. Completamente ricostruita in stile moderno conserva, nel sotterraneo, una cripta che raccoglie i resti dei defunti.
Con un po' di spirito organizzativo ed utilizzando i mezzi pubblici, tra cui la famosa tranvia a dentiera, è possibile portare gli alunni sulla collina di Torino per visitare la:
BASILICA DI SUPERGA = come si è detto, fu voluta da Vittorio Amedeo II per ringraziare la Vergine della vittoria conseguita il 7 settembre 1706. I lavori costruttivi iniziarono nel 1717, secondo il progetto di Filippo Juvarra, sull'enorme terrazzamento ottenuto abbassando la vetta collinare di circa 40 metri.
La chiesa barocca ha una cupola che raggiunge l'altezza di 75 metri e, all'interno, presenta numerose opere d'arte tra cui si distingue lo splendido altare maggiore adornato da un altorilievo marmoreo di Bernardino Cametti che effigia la Madonna delle Grazie, il Beato Amedeo di Savoia e la battaglia di Torino del 1706.
Nell'attigua Cappella delle Grazie, si conserva l'antica statua della Madonna testimone del voto ducale. La visita alla Basilica termina con la discesa nella cripta che ospita le tombe sabaude, illustrate con competenza da un Servo di Maria.
Uscendo è possibile compiere una passeggiata intorno al complesso religioso ammirando il panorama delle Alpi e della città vista dall'alto.
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