Ritrovarli

di Valeria Amerano

C'è un momento emozionante nella vita di un maestro, che pareggia la commozione di salutare gli alunni alla fine della quinta elementare: ritrovarli venti o trent'anni dopo, con la barba, la moglie e la pancetta incipiente.

Giocare a riconoscerli, dopo la domanda inattesa che spunta come una luce ad accendere il colore di giornate uguali: "Mi scusi, lei è la maestra...? Sono stato un suo alunno". Non ti sei mai vista in quell'attimo, ma sai che t'illumini cercando sul viso dell'adulto il bambino che hai conosciuto e accompagnato in un viaggio durato cinque anni, della sua vita e della tua, legate insieme in un nodo che resterà intatto nel tempo. "Non dirmi chi sei: lo voglio indovinare... Sei Paolo!". Scopri, maturati e scolpiti dall'età, quei lineamenti che intravedevi nella tenerezza rotonda dell'infanzia e i tratti residuali: la fossetta nel mento, il colore degli occhi, la piega del sorriso.

Più che in un documento d'identità scaduto scorri sul volto ritrovato il tuo tempo perduto, la tua giovinezza e tutto quello che riempiva i tuoi giorni allora, quando l'uomo che hai davanti ti si affidava bambino, ti chiedeva permessi e scuse, ti eludeva, disobbediva e ritornava, inseguiva nell'erba nuova del giardino una palla con i sandali e i calzoncini corti di un'altra primavera. Non è soltanto un piacere che ti assale: vorresti sapere cosa pensa di te ora, come e quanto gli è servito ciò che hai cercato d'insegnargli; e quanto gli hai insegnato, senza volerlo, parlando e vivendo di fronte a lui, pagina bianca; e se hai sbagliato - per impazienza, imperizia o stanchezza - e lui proprio di te, quel giorno scomodo, trattiene come una spina il ricordo. Conosci pochi mestieri con un'eco più lunga di soddisfazioni, meriti, timori, colpe e rimorsi di quello del maestro. Forse solo il medico e il giudice. Un giorno di neve scopri un ex alunno nel giovane taxista che ti porta al Carignano; se non si fosse presentato, non lo avresti riconosciuto. È lui, spontaneo e diretto, disinvolto ormai con la clientela, (sei una sua cliente!) a parlarti, con qualche confidenza in più, del suo presente, a raccontarti come i suoi genitori abbiano ipotecato la casa per ottenere la licenza del taxi: "Non ero fatto per la scuola. Dopo tre anni strattonati di liceo, l'ho abbandonata". Peccato, pensi. Lo ricordi intuitivo; ma insofferente dei tempi, dei compiti e di ogni forma di rigore. Del taxi ama la libertà. La parte più divertente del suo lavoro è la varietà di persone che incontra: a cominciare dalla vecchia vedova benestante che si fa portare a Sanremo con le pellicce e gli abiti adatti al Festival, d'inverno, e tre valigie e le piante del balcone, d'estate.

Un altro ti si svela una notte triste passata al pronto soccorso per un malore di tua madre. Da un po' la guardia giurata sorvegliava la sala d'attesa senza perderti di vista, quasi a vigilare che nessuno ti molestasse. Lunghe ore passate ad aspettare nella luce livida una chiamata oltre il vetro, passi nervosi e stanchi nel corridoio, vari bicchieri di tè al distributore a riscaldare uno stomaco digiuno e saturo di acidità, la solitudine che non sa ancora immaginare - oltre quelle cure rabberciate in una notte infausta - il suo futuro asservito alla malattia. Sono rimasti pochi parenti in sala d'attesa, gli ubriachi mandati a casa, gli euforici calmati con una flebo, i contusi medicati... Valeria?... Sì, ci conosciamo?... La guardia giurata ti sorride con affetto, vorrebbe lo indovinassi tu: "Sono Leonardo". Lo abbracci, lo baci. Leonardo! Caro bambino salvato da una bocciatura pretesa dal padre troppo severo, che lo voleva ripetente per punirlo: lui lento, timido, educato. Ora adulto, solido, bello, rassicurante, consapevole, con quel velo di malinconia che già bambino te lo rendeva caro. Un regalo in una fra le notti peggiori.

Un'altra ti pesa un etto di prosciutto in un supermercato fuori zona, dove sei entrata per aver dimenticato di comprare qualcosa di sbrigativo per la cena. Ha ormai trentasette anni, sarebbe passata inosservata se non ti avesse detto chi eri per lei. Allora rivedi le guance piene e rosee di bambina di campagna, gli occhi verdi; i capelli, che ricordavi intrecciati da una mamma paziente (con altri cinque figli), sono ancora lunghi - ammette - sotto la cuffietta bianca della divisa del banco alimentari. Non si è sposata, non ha figli, ha l'aria contenta. Al tempo in cui le insegnavi a scrivere trascorrevano gli anni della tua vita per cui sei ora quello che sei. Ed è con quegli occhi che la guardi adesso, come ritrovando per un attimo l'essenza di giorni radiosi. Ti ha vista innamorata: ignora di esserti complice nel ricordo del passaggio della cometa.

Prendi il pacchetto che ti porge attraverso il banco e le sorridi: "Tara... peso netto... peso lordo" e lei arrossisce, rivedendo le sue manovre intorno a una bilancia che la confondeva.

Sonia, la brunetta, la riconosci da sola; non è passato così tanto tempo da non far combaciare gli occhi neri e dolcissimi della ragazza con lo sguardo luminoso della bimba che piangeva e si angosciava per nulla, si affezionava e soffriva, ad ogni separazione, la separazione dei suoi genitori. Le avevi detto: non piangere, tieni un diario, scrivi le tue ragioni, le tue emozioni, i tuoi pensieri, raccontagli tutto come se fosse una persona. Ti aiuterà, vedrai. "Quante volte penso a lei, maestra! "erompe rivedendoti. "Ma io la devo ringraziare!". Non ti sembra di aver fatto nulla di particolare, non ricordi avvenimenti, se non una sua visita inaspettata a casa tua, un giorno qualunque di quegli anni lontani, col suo cane Birillo. "Si ricorda che mi aveva detto di tenere un diario? Io l'ho fatto, e da allora non mi sono più fermata. Lei mi ha aiutata a trovare la mia strada. Vivo a Roma, vado all'Università e sono iscritta alla scuola di giornalismo". Nello stupore sei contenta, commossa quasi. Era quello che avresti voluto fare tu: vivere e studiare lontano da casa. Tornare ogni tanto, come lei, a rivedere la famiglia. Dedicarti alla scrittura. La guardi con gratitudine, sai di essere servita a qualcosa di buono, e le auguri il futuro che desidera.

E l'ultimo è quello che non vorresti mai avere letto, ascoltato e rivisto nel video dell'orrore: è il destinatario di quel mazzo di fiori di plastica legati a un lampione della strada, a pochi passi da una banca dove il tuo alunno, diventato tabaccaio e padre di famiglia, è stato rapinato e ucciso a coltellate. Avevi vent'anni quando gli insegnavi a contare. Era bravo in aritmetica. La mamma gli cuciva il grembiulino azzurro con la martingala e lui dal banco ti guardava inclinando il viso serio, appoggiato alla mano aperta. Aveva la frangetta squadrata e le lentiggini su un piccolo broncio in cui nessuno avrebbe potuto leggere l'estrema, ingiusta brevità del suo futuro.