di Valeria Amerano
Non ricordo un funerale, per quanto doloroso, in cui non sia lampeggiata una topica. È qualcosa di inevitabile, tra la solennità da reggere e l'inadeguatezza da camuffare, che finisce per marcare vistosamente il solco tra il povero mondo dei vivi e le loro prosaiche esigenze e le altezze ormai assolute dei trapassati. Anche nello strazio può sollevarsi il lembo inopportuno, aprirsi lo spiraglio di ridicolo che taglia l'atmosfera composta, grave e pomposa con la luce di un contrasto umano, spicciolo e meschino, e dunque insostenibile. Il funerale è l'ultimo gancio con la terra, i parenti, il teatro.
Mi trovo tra le mani un vecchio album di fotografie di un funerale avvenuto nell'estate del 1958. Non avevo ancora compiuto i tre anni, unica ragione che mi esonerò dal parteciparvi - trattandosi delle esequie della mia bisavola. La famiglia di mio padre aveva voluto far eseguire un servizio fotografico a ricordo della cerimonia in onore della madre di mia nonna. Il luogo è Torino: non la città dei portici, dei cavalli di bronzo e dei palazzi barocchi, ma la periferia di lande, nebbie e paludi del Regio Parco. Laggiù, fra resti di cascine, orti e terrapieni della ferrovia, i miei prozii attendevano ad una estesa coltivazione di fiori che riforniva i mercati. Le foto, nel rigoroso bianco e nero che non tradisce, mi restituiscono una realtà di casette ad un piano con pochi scalini, le inferriate a paniere, sfondi di siepi, strade erbose, capanni e cioende.
Il corteo è di gente semplice, donne non abituate a inforcare la borsetta, vecchie prozie col velo, vicini di casa che seguono a piedi il carro funebre su cui spiccano le ricche corone composte con i fiori dell'azienda. Mia nonna, cappellino nero e veletta, attira l'attenzione del fotografo mentre cerca affannosamente qualcosa nella borsa: mio nonno la guarda con un rimprovero muto, reso paziente dalla consuetudine di cinquant'anni di matrimonio, mio padre si affaccia anche lui nella borsa per aiutarla. Nella piazza della Croce Rossa gli incroci delle linee elettriche dei filobus squadrano l'aria sopra il semaforo, palazzi sorgono qua e là a suggerire il futuro in embrione che presto s'impadronirà della barriera. Ed è in fondo alla piazza della chiesa di San Gaetano, dove viene celebrata la Messa, che brilla la perla della quotidianità, il piccolo quadretto terreno appeso alle leggi dei vivi.
Mentre in primo piano campeggia lo sforzo dei necrofori nell'estrarre la bara dal mezzo, sullo sfondo cespuglioso di arbusti e sambuchi oltre il quale si distingue la Manifattura Tabacchi di corso Regio Parco, all'ombra delle fronde, accanto a un triciclo attrezzato al trasporto e del tutto compatibile con l'insieme, si palesa, evidente come una vela, una tenda bianca sostenuta da un palo a riparare una specie di bancarella, un tavolo di lavoro... dove alcune donne con pentoloni e strumenti idonei fanno... fanno la conserva.
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