CONOSCI TORINO? Il maresciallo Marsin e la battaglia contesa

Nel 2005, alla vigilia delle manifestazioni indette per il terzo centenario dell’assedio di Torino del 1706, il Centro Documentazione Storica della Quinta Circoscrizione ha pubblicato un «quaderno» di grande interesse. Si tratta di uno studio di Roberto Orlandini e Davide Tabor intitolato: La battaglia contesa: l’uso di un mito nello sviluppo di una comunità. Le celebrazioni del 1906 al Borgo Vittoria e Madonna di Campagna.

Il primo di questi quartieri era nato come Borgo Levi o Delle Alpi intorno al 1880. La Società «David Emanuel Levi & Figli» aveva comprato vasti terreni della zona frazionandoli per costruirci nuove case. Il nome del Borgo era poi cambiato in onore della vittoria conseguita il 7 settembre 1706 dal Principe Eugenio di Savoia– Soissons e dal Duca Vittorio Amedeo II contro i francesi. Scavando le fondamenta degli edifici era stata rinvenuta una notevole quantità di ossa di combattenti dell’antico scontro armato e gli abitanti, nel 1891, avevano eretto un ossario cui era seguita la costruzione della Basilica di Nostra Signora della Salute.

Il Borgo Vittoria confinava con quello della Madonna di Campagna: un antico agglomerato di case che sorgeva intorno alla famosa chiesa dedicata alla Santa Vergine e affidata – fin dal 1557 – ai Frati Minori Cappuccini. Epicentro di famosi episodi nel 1706, l’edificio religioso era stato completamente rifatto nel 1884. Con l’avvicinarsi del bicentenario dell’assedio, gli abitanti della Madonna di Campagna avvertirono il desiderio di avere un ossario come il Borgo Vittoria e, a tale proposito, si riunirono in un Comitato presieduto da Giacomo Durio, l’impresario che aveva lanciato economicamente il quartiere aprendo la sua famosa conceria.

Il 30 settembre 1905 Padre Martinengo, parroco della Madonna di Campagna, esultò. L’agricoltore Gaspare Maletto, scavando nel territorio parrocchiale, aveva rinvenuto una tomba contenente uno scheletro umano e una sciabola. Il sacerdote pensò che si trattasse di un combattente del 1706, ma fu smentito perchè gli esperti stabilirono che i resti erano di epoca barbarica.

Per vincere la contesa contro il Borgo Vittoria ottenendo il primato sugli eventi del 1706 e per avere l’ossario, non restava che cercare altre memorie d’epoca, attestanti che nella zona i combattimenti erano stati decisivi e cruenti. Una lapide attestava che uno dei comandanti francesi, il Maresciallo di Marsin, era stato tumulato nella chiesa e, secondo la tradizione popolare, egli era spirato in una cascina poco distante.

Ma chi era questo alto ufficiale? Ferdinando di Marsin (o Marcin, come altri scrivono) era nato nel 1658 a Liegi, all’epoca nei Paesi Bassi spagnoli, e all’età di diciassette anni era entrato nell’esercito francese. Segnalatosi nelle battaglie di Neerwinden e di Spira, aveva partecipato alla spedizione del 1704 in aiuto dell’Elettore di Baviera. Con il Maresciallo Tallard era stato sconfitto nella celebre battaglia di HOEchstädt contro gl’imperiali di Eugenio di Savoia e gl’Inglesi del Duca di Marlborough. Ebbe maggior fortuna, nel 1705, respingendo i nemici dall’Alsazia al fianco del Maresciallo Villars.

Sul teatro italiano, Ferdinando di Marsin si mise in luce, alla vigilia della battaglia di Torino, per l’ostinazione con la quale contrastò il Duca d’Orlèans, che avrebbe voluto sfidare le truppe imperiali e sabaude in campo aperto e non attenderle dietro le linee difensive. Il 6 settembre, pieno di tristi presentimenti, compose una sorta di testamento da consegnare al Ministro della guerra Chamillart. Nello scritto confessava: «…la morte, per un effetto della misericordia di Dio, mi si presenta ogni momento, e mi occupa il giorno e la notte; da quando sono in questo paese, nulla mi può assicurare del contrario, che la speranza in Dio».

In effetti, il Maresciallo fu trapassato da una fucilata nella zona di Lucento. Benchè spossato dalla devastante ferita, riuscì a dettare al suo segretario Du Quesnay una lettera per Luigi XIV, che terminò con queste parole: «Sto morendo come ho vissuto, con il più profondo rispetto e tutti i sentimenti che può avere di vostra Maestà il più umile, il più ubbidiente ed il più fedele suddito».

Nell’inviare la lettera al ministro Chamillart, il segretario descrisse il coraggioso comportamento del Maresciallo durante la battaglia, ferito mentre stava «animando le truppe del re e mantenendole sui trinceramenti, che furono forzati solo dopo che lui era stato portato via; il suo cavallo aveva già avuto un colpo di moschetto». Il Maresciallo de Marsin, che era scapolo, nominò erede il Marchese di Rentry, ma volle che il suo bagaglio di guerra, compreso il vasellame, andasse ai suoi domestici.

Sul luogo dove venne trasportato ferito e dove poi morì, le notizie erano diverse e, in vista del 1906, potevano essere adeguatamente manipolate. Secondo fonti accreditate, il Maresciallo fu portato a Pozzo Strada, nella cascina La Losa dove risiedeva. Lo asserisce il Giornale del famoso assedio della real città di Torino pubblicato da Antonio Manno nel 1880, che così descrive i fatti: «La ferita che ricevette monsù Marsin, fu tale che si rendette prigioniere, e fu lasciato andare su la parola al suo alloggiamento, che era la cascina del signor conte Losa vicino a Pozzo Strada, e morì nel far del giorno della Natività della Madonna [8 settembre], e fu portato il suo corpo a seppellire al convento de’capuccini della Madonna di Campagna, ove S.A.R. gli ha fatto ponere una lapida sepolcrale… ».

La cascina della Losa era vicina alla villa La Serena (così chiamata storpiando il nome del proprietario De Lascheraine, Primo Presidente della Camera dei Conti) ed alla chiesa di Pozzo Strada trasformata, con altri edifici attigui, in polveriera. Nel pomeriggio del 7 settembre i Francesi in ritirata fecero saltare le munizioni e i gas dell’esplosione raggiunsero la camera del Marsin rendendone disperate le condizioni di salute.

Con il Giornale predetto concordano le Memorie del Convento della Madonna di Campagna, conservate nell’Archivio Provinciale dei Cappuccini del Piemonte, nelle quali si dice che il Marsin mori: «nella cascina, nella quale abitava dirimpetto a quella del presidente La Serena».

Alla Madonna di Campagna, vigeva invece la tradizione che l’ufficiale fosse morto nella cascina La Brusà, non distante dalla chiesa, all’attuale numero dieci di via Viterbo. La tradizione era suffragata dal diario dell’assedio (il famoso Journal du siege… del 1708) redatto dal comandante delle artiglierie torinesi, il conte Giuseppe Maria Solaro della Margarita.

Bisogna subito chiarire che il Solaro, impegnato nella difesa della Cittadella, non aveva potuto partecipare alla battaglia e si era limitato a raccogliere un’informazione seconda la quale: «Il Maresciallo di Marsin è morto oggi prigioniero in una casa poco distante dalla Chiesa di Nostra Signora della Campagna, dove è stato sepolto».

Nel 1905, Padre Marengo cavalcò la tradizione popolare e molto probabilmente fu l’autore di un opuscolo anonimo redatto per patrocinare la costruzione di un ossario nella sua Parrocchia. Non esitò ad includervi una brano della Cronaca del Convento della Madonna di Campagna nel quale aggiunse di suo pugno che la cascina nella quale era morto il Marsin era La Brusà.

Il falso storico si unì a motivazioni più importanti, che portarono alla costruzione di un monumento–ossario. Così, nel corso delle manifestazioni bicentenarie dell’assedio, di fronte alla chiesa fu inaugurato il monumento di Leonardo Bistolfi, che rappresentava la Patria con una figura femminile vestita di classici drappeggi ed assisa su di un alto trono quadrato, con le braccia aperte ad accogliere i caduti di ogni nazionalità.

L’opera fu distrutta dal bombardamento aereo dell’8 dicembre 1942, che devastò la chiesa causando la morte di cinquantanove fedeli e di cinque frati cappuccini. L’edificio religioso fu ricostruito nel dopoguerra, con aspetto moderno, e venne riconsacrato nel maggio del 1952.

Seppure in tono minore, il Borgo Vittoria non fu dimenticato. Sulla facciata del Santuario di Nostra Signora della Salute furono collocati due rilievi con il Principe Eugenio e il Duca Vittorio Amedeo II a cavallo ed il vecchio ossario fu sostituito da uno nuovo, di stile medievaleggiante. Tutto sommato, la «battaglia contesa» del 1906 era finita con un pareggio.

Piergiuseppe Menietti