La valutazione a scuola è una questione di una certa importanza: non se ne può non parlare e da sempre si oscilla tra diverse tendenze e diversi modelli.
Comincerei dal confrontarci su cosa si possa intendere per valutazione in modo da essere poi chiari su quali siano le conclusioni.
Innanzitutto l’artificialità. La valutazione infatti è un atto razionale, messo a punto e necessario per avere un ritorno di informazione bottom-up, cioè dal basso verso l’alto.
Una valutazione in grado di muovere informazioni è un primo punto importante da tenere presente.
Ma per continuare a parlare di valutazione è necessario definire anche per chi e in nome di chi si valuta. Qui si entra in un terreno spinoso: per chi si valuta? La risposta sembrerebbe banale: essendo un processo bottom-up si valuta per fare avere informazioni di valore a chi sta in qualche modo “sopra”.
Per chi si valuta? Le risposte possono essere diverse, ma chi dovrebbe trarre vantaggio dal processo valutativo, altri non dovrebbe essere se non l’oggetto della valutazione, ovvero chi viene valutato.
Passando dalla teoria alla pratica, forse anche un po’ banalmente, nella scuola chi valuta sono gli e le insegnanti, chi viene valutato sono gli studenti e le studentesse, la valutazione dovrebbe servire a questi ultimi per poter migliorare i loro obiettivi e, ultimo, l’istituzione dovrebbe raccogliere i dati per poter migliorare le possibilità offerte a studenti e studentesse per poter raggiungere traguardi ambiziosi.
Siamo arrivati al secondo punto da tenere presente: la valutazione serve a mettere in condizioni di potersi migliorare colui il quale è oggetto di valutazione e a chi valuta di avere una chiara idea del valore di chi è valutato.
Per riuscire a rendere chiare le informazioni del percorso di valutazione a studenti e studentesse una terza componente è necessaria: la trasparenza.
La trasparenza significa rendere espliciti gli obiettivi e le modalità di valutazione; ovvero nel momento in cui si affronta la valutazione di un compito, tutti devono sapere cosa si ritiene importante dimostrare di sapere in sede di valutazione.
Questo mette tutti nelle migliori condizioni di affrontare le prove avendo chiaro l’obiettivo a cui puntare.
Abbiamo raccolto tre parole chiave della valutazione: informazioni, miglioramento, trasparenza.
Quando parliamo di mettere in pratica un determinato modello valutativo che possa coniugare queste tre componenti, parliamo anche di definire una scala di misura che può essere quantitativa oppure qualitativa. Entrambe possono servire allo scopo; ma quali possono essere le migliori pratiche per ognuno dei due modelli? E soprattutto: quale tra i due modelli ci viene maggiormente in aiuto per raggiungere gli obiettivi di raccolta delle informazioni, miglioramento degli obiettivi stessi e trasparenza dell’intero processo?
Quando una studentessa e uno studente si trovano in difficoltà a svolgere un compito assegnato e chiedono aiuto, la cosa più sensata che possiamo proporre è svolgere noi il compito spiegando, passo dopo passo, le diverse difficoltà incontrate in modo che alla successiva prova gli studenti riescano a padroneggiare autonomamente l'argomento.
Cosa ha fatto lo studente e cosa abbiamo fatto noi?
Lui (o lei) è stato in grado di riflettere sulla consegna, comprendere le difficoltà e chiedere un aiuto; noi siamo stati in grado di spiegare cosa vogliamo e qual è l’obiettivo da raggiungere.
Possiamo tradurre tutto questo in un momento valutativo? In altre parole, come possiamo raccogliere le informazioni che ci permetteranno di esprimere un giudizio di valore sull’obiettivo prefissato?
Il coinvolgimento è molto ampio e può mettere insieme tanto la valutazione sommativa, quanto la valutazione formativa.
Innanzitutto occorre chiarire quale tipo di valutazione privilegiare all’interno della classe. Citando Robert Stake: “quando il cuoco assaggia la minestra è valutazione formativa, quando la assaggia il cliente è valutazione sommativa”.
Ciò detto, a noi interessa la valutazione formativa.
Per attivare un percorso di valutazione di questo tipo, in grado di intervenire sul processo di apprendimento, tre sono gli aspetti da tenere in considerazione: la didattica, la relazione e la metodologia.
La didattica, per sapere cosa valutare. La didattica fa incontrare la conoscenza con l’ignoranza e, oltre a far prevalere la prima, deve essere in grado di osservare e mostrare attraverso quali strade più agevolmente si dissipa la seconda.
La relazione, per sapere come valutare. Oltre a un percorso di autovalutazione ci deve essere una modalità di valutazione in grado di dialogare costruttivamente in modo da rendere espliciti e comprensibili gli obiettivi.
La metodologia, per sapere quali strumenti usare. Due sono i principali strumenti nella valutazione formativa: l’autovalutazione e la valutazione. Entrambi sono importanti per arrivare a un’analisi del processo e del risultato raggiunto. L’autovalutazione permette di riflettere sul proprio operato e di trovare il proprio stile per raggiungere l’obiettivo; la valutazione pone la questione in termini competitivi con l’obiettivo da raggiungere e mette in luce i traguardi già superati. L’una è fortemente connessa all'altra, perché entrambe concorrono a convalidare un processo di cambiamento migliorativo, dato significativo dell’apprendimento, che la valutazione deve certificare attraverso il travaso di informazioni bottom-up in modo trasparente e chiaro.
Se questo modello valutativo, formativo e assertivo, consigliato attraverso queste righe risulta preferibile, occorre adottare anche uno stile progettuale in grado di attivare il processo di valutazione e autovalutazione fin dai primi momenti. In questo modo si permetterà a ciascuno studente e a ciascuna studentessa di ricercare, durante il percorso di apprendimento, il proprio ruolo e il proprio stile cognitivo, fondamentali per ottenere con successo i traguardi formativi.
Della progettazione avremo tuttavia modo di parlare diffusamente nel prossimo numero del Notiziario.
Fabrizio Ferrari
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