Quale ex maestra, mi piace ascoltare da mia madre, scolara di un paesello del pinerolese negli anni Venti, come si configurava la scuola a quel tempo in provincia. In seconda elementare gli alunni in classe erano cinquantaquattro, molti dei quali di quattordici- quindici anni, che la maestra Pierina Motta, scolpita nella memoria di molti anziani, educava e istruiva con piglio e competenza. Mia madre imparava facilmente e, pur dedicandosi con zelo ai suoi compiti, li finiva troppo presto ritagliandosi preziosi lacerti di tempo libero da impegnare in chiacchiere con chi, rimasto indietro, preferiva di gran lunga fare due oneste parole piuttosto che continuare a graffiare la pagina con un pennino riottoso.
Così la maestra chiamava mia madre alla cattedra e la mandava in paese a farle le commissioni per il pranzo: "Va' a comprarmi una fetta di gorgonzola e due rosette". E la bambina usciva, libera come l'aria, vigilata unicamente dalla propria coscienza e dal desiderio vivo di compiacere la persona in cima alla sua considerazione: la maestra. Immagino cosa dovevano essere le strade: quadretti bucolici attraversati da carri e miti animali, luoghi dove si coglieva il suono dei passi. Una fetta di gorgonzola e due rosette: anche il lunch dell'insegnante, torinese trapiantata in casa d'affitto a None, testimoniava, nella frugalità campagnola, una felice contaminazione dei suoi costumi cittadini. I bambini imparavano a conoscere gli Assiri e i Babilonesi, il congiuntivo e gli ettometri; lei si abboccava ai formaggi più rudi e puzzolenti.
Stupefacente ed inquietante era, se vogliamo, il capitolo delle gite. A parte la convenzionale visita in pullman al Castello Medievale, al termine della seconda elementare, con salita a piedi al Monte dei Cappuccini e pomeriggio al Teatro Gianduja per assistere allo spettacolo delle marionette Lupi; il racconto che mi colpisce di più è quello della gita alla fine della quinta. L'ultimo anno delle elementari era affidato all'insegnamento del canonico Tesio, il quale organizzava, per chiudere in gloria il ciclo scolastico, una salutare camminata None - Piossasco, con sosta ai Tre Castelli ed escursione libera alla cappella di San Giorgio in cima alla collina.
- Come sarebbe "escursione libera"? -
- Sarebbe che lui restava seduto in basso a farsi aria e ci aspettava...-
- E voi alunni andavate su da soli?! -
- Certo: che pericoli potevamo incontrare? -
Mi attraversa il brivido di timori ignorati, sciagure sfiorate, aggirate con olimpica tranquillità. I bambini proseguivano la scampagnata senza smarrirsi, senza farsi male. Di là da venire sparizioni misteriose e cani molecolari. E ricordo le nostre denunce d'infortunio a scuola, sempre più frequenti negli ultimi anni, spine nel fianco degli insegnanti, redatte nello stile gelido e diligente di un maresciallo: "Mentre la scolaresca scendeva ordinatamente in refettorio, sotto la mia sorveglianza, l'alunno Bertoldo colpiva con un pugno il compagno Bertoldino che lo precedeva, facendolo ruzzolare dalle scale. Nella caduta Bertoldino riportava la frattura del polso destro... Nell'attesa dell'ambulanza applicavo ghiaccio sul polso dolorante e infine accompagnavo l'infortunato al Pronto Soccorso dell'ospedale..."
Il canonico Tesio dunque si sventolava con una frasca mentre gli alunni completavano la gita. Ma si può sapere cos'era a farli rigare dritto anche quando il maestro non c'era? Il terrore della punizione?... Il fatto che avessero così poco da divertirsi in casa propria da apprezzare, fino all'obbedienza spontanea di una regola, la povera faticosissima occasione ludica offerta dalla scuola? O era semplicemente il riconoscimento dell'autorità inculcato prima di tutto dalla famiglia? Un'autorità il cui alone persisteva anche nell'assenza del capo, fino ad anticipare l'autogoverno e a formare il senso del dovere.
Valeria Amerano
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