Bravissima

A vent'anni m'era toccata una supplenza annuale nella prima elementare di una scuola di Mirafiori. E siccome le nostre prime rozze sperimentazioni di insegnanti sono come i primi amori (ne conserviamo il ricordo anche quando gli alunni sono diventati genitori e gli amori un disgusto), non ho di menticato Oslavia, la piccola rossa che imparò a leggere e scrivere perchè mi voleva bene. Minuta, silenziosa, solitaria e bellissima, di una bellezza antica, una bambolina di biscuit, dèmodè negli anni Settanta, con i suoi ricci infiammati sciolti sulle spalle, le lentiggini sbriciolate sulle guance candide, Oslavia mi seguiva ovunque con gli occhi scuri, seri, ammaliati.

Con i compagni sfoderava una voce insospettata: bassa, ruvida, adulta che la difendeva dagli scherzi; e uno sguardo vendicativo tanto diverso da quelli dolcissimi che riservava a me. Io spiegavo, e lei mi sorrideva. Sentivo che non era forte mente dotata, che forse non mi capiva, ma la sua attenzione alle mie parole e al mio sguardo era massima, come la volontà d'imparare per non deludermi. Non diceva di aver compreso: annuiva misteriosa tacendo. Gli altri avevano osservazioni e domande; lei aveva silenzi. Non era di quei bambini prensili che apprendono con l'intelligenza viva e la curiosità di sapere, ma di quelli che si piegano alla fatica della conoscenza per amore di chi li guida lungo una strada che, altrimenti, non presenterebbe per loro attrattive nè tentazioni. Gli altri già leggevano e lei procedeva in un brano come un agnello tra i rovi. Arrancava ancora sulle parole con quella sua voce gutturale di femmina decisa, destinata se non al dominio almeno al ri spetto. E i quaderni sempre in ordine, lindi, senza orecchie, la grafia tonda e perfetta che attiene spesso ai soggetti poco originali, che versano se stessi nella cura della forma, era no il suo dono alla mia pazienza. Me li porgeva guardandomi negli occhi, estatica.

Io la lodavo al minimo progresso. Passato marzo, quando la classe cominciò a impigrire per effetto della primavera e del sole che entra va col canto degli uccelli dalle finestre aperte sul giardino, Oslavia si liberò del guscio: attinse energia al torpore generale e superò ogni aspettativa. Si mise a leggere spedita e a scrivere senza copiare. I bambini leggono come imparano a camminare. Dopo tanti tentativi, arriva un giorno in cui si alzano e vanno. È un momento di commozione per chi li vede partire da soli. Impadronirsi della lettura è incominciare il viaggio. Ma la sorpresa più grande la piccola rossa me la serbava per la festa della mamma quando, nel la sua calligrafia, buttò giù da sola, senza un errore, i pensierini sul quaderno a righe: "Mamma, voglio diventare ballerina. Mamma, tu sei bella. Sei tanto bella anche se ti trucchi".

Valeria Amerano