Come se sfogliassi un “ Album di famiglia”, attraverso circolari ministeriali, vecchi ritagli di giornale, dispense relative a giornate di formazione, ripercorro i miei ultimi diciannove anni di insegnamento nella scuola primaria. Quando conobbi Gaia diciannove anni fa, incontrai per la prima volta la parola DISLESSIA grazie alla diagnosi del dottore Giacomo Stella. La segnalazione veniva da Bologna perché a Torino non era ancora presente l’Associazione Italiana Dislessia ed a Bologna si svolsero i primi incontri che videro nascere la formazione del gruppo fondatore dell’A.I.D. torinese, composto soprattutto da genitori di bambini dislessici. Ricordo l’entusiasmo di quei primi anni, che avrebbero potuto segnare una evoluzione positiva nelle nostre scuole. In quel periodo si attuò un grande sforzo di informazione che fu sostenuto totalmente dall’Associazione Italiana Dislessia, nella speranza comprensibile che ne sarebbe conseguito un immediato impegno di formazione da parte della scuola. Ma non è stato così. Nonostante l’apparente adesione ai numerosi convegni proposti dalla A.I.D., dove le sale erano gremite ed i dibattiti sicuramente arricchenti, la situazione nelle scuole è cambiata ben poco. Le informazioni sostanziali ricevute durante le occasioni di formazione avrebbero potuto essere rielaborate da noi insegnanti in maniera efficace durante percorsi di auto aggiornamento che non sono avvenuti. Non è stato attuato un confronto fra differenti metodologie in grado di dare risultati soddisfacenti e le poche realtà dove si è operato in modo costruttivo non hanno avuto modo di comunicare le esperienze positive. L’unica conquista raggiunta in tutti questi anni per l’alunno dislessico, è stata “l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi a fronte di una diagnosi specialistica” (Prot. n26/ A/4a del 5 gennaio 2005).
Forse basterebbe che fosse data a noi insegnanti l’opportunità di incontrarci e discutere, punto per punto, le motivazioni della scelta di questi strumenti, per fare un po’ di chiarezza sugli errori che, quotidianamente, ripetiamo. La ricerca sulla didattica peraltro, in tutti questi anni, è continuata grazie all’impegno di formatori particolarmente validi, non a caso insegnanti. (Loredana Garnero: "Imparare attraverso l’intelligenza" - ed. libriliberi, "Dislessia a scuola: gli allievi di domani?" - ed. Bambini nuovi).
È stata presentata la versione italiana dell’applicazione del metodo Orton - Gillingham, un approccio multisensoriale all’apprendimento della lingua scritta.
Leggo in un articolo di Michael Ryan, psicologo U.S.A. dell’Associazione Internazionale Dislessia (Dislessia vol. 3, n°1 gennaio 2006): “Secondo Erik Erikson, durante i primi anni di scuola ogni bambino deve risolvere i conflitti tra un’immagine di sé positiva e i sentimenti di inferiorità. Se i bambini riescono a scuola, essi svilupperanno sentimenti positivi su sé stessi e penseranno di riuscire nella vita. Se i bambini vanno incontro ad insuccessi e frustrazioni, essi si fanno l’idea di essere inferiori agli altri e che i loro sforzi facciano poca differenza. Invece di sentirsi adeguati e produttivi, essi apprendono che è l’ambiente a determinare la loro vita. Essi si sentono inadeguati e incompetenti."
La ricerca ha evidenziato che questi sentimenti di inferiorità si stabilizzano attorno ai dieci anni. Dopo questa età diventa estremamente difficile aiutare il bambino a sviluppare un’immagine positiva di sé. Questo è un argomento importante a favore di interventi precoci.
Sempre dal mio “Album di famiglia” ritrovo un ritaglio di giornale:
(Specchio - La Stampa 8/7/2006)
“Mi piacerebbe poter entrare in contatto con l’insegnante sconcertata, che su Specchio n. 523, scrive di alcune diagnosi / terapie per la dislessia. Vorrei dirle: gentilissima e sensibile insegnante, ha fatto assai bene a indignarsi! Perché la dislessia non ha nulla a che vedere con una compromissione intellettuale, illuminante quanto afferma il Professor Oskar Schindler dell’Università di Torino nell’introduzione al libro - Edo non sa leggere. È dislessico… proprio come Einstein - di Roberta Moriondo (ed. Angolo Manzoni): “è proprio come nella storia di Edo: spesso alle elementari capita che i bambini che non hanno mai manifestato problemi, non riescano a imparare a leggere come i compagni. Questa tegola, tuttora misconosciuta, è etichettata dagli esperti come disturbo specifico di apprendimento (…) un riconoscimento precoce consente di intervenire subito adeguatamente”.
Alle elementari la mia maestra scriveva alla lavagna in stampatello assai grande, e quando i compagni si risentivano, rispondeva: “scrivo in modo che tutti riescano a leggere.” Anch’io riuscivo, così. E sarò sempre grato alla Maestra Ada. (…) era un po’ un corpo 16, capisco ora, ben distanziato, anche sulla pagina bianca, quando mi assegnava i compiti o i voti scriveva con la sua grafia tanto nitida, elegante: Massimo, non va bene, riprova! Eccomi qui." Massimo Rondi.
Anche io sarei felice di essere ricordata come la maestra Ada.
Grazia Silvestri, insegnante I.C. Manzoni, Torino
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