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Da quando mi occupo di scuola – e quindi non da ieri – sento parlare di crisi del sistema educativo. E non solo perché la crisi è fenomeno che riguarda ogni essere vivente . Ma di crisi come di offerta di una risposta incompleta, insufficiente ai bisogni dell’ individuo e della società.

Negli anni sessanta, a livello di scuola primaria, cominciò a scricchiolare l’ impianto pedagogico previsto dai Programmi Ministeriali del ’55: si criticavano l’ enfasi del fanciullo  “tutto intuizione, fantasia e sentimento”, il globalismo esasperato a detrimento delle discipline, la retorica dell’ ambiente senza distinguere la lettera della legge dalle deformazioni della prassi quotidiana.

Dopo lunghissima gestazione nacquero i Programmi dell’ ’85 con la sottolineatura della scuola come ambiente educativo di apprendimento, dell’ individualizzazione, dell’ alfabetizzazione culturale, della disciplinarità. Un salto di qualità notevole preceduto e accompagnato da una vera rivoluzione sul versante della valutazione, dell’ ampliamento dei tempi dell’ apprendimento, attraverso il progressivo ampliamento del tempo pieno nato nei primi anni settanta. Parallelamente, con esclusione della  meritoria e capillare opera dell’ IRRSAE ( Istituto Regionale di Ricerca Sperimentazione e Aggiornamento Educativi ) in occasione dell’ emanazione dei Programmi stessi, gli insegnanti furono, ben presto lasciati abbastanza soli ad affrontare le nuove, non semplici sfide educative. I direttori didattici furono sempre più direttori e meno didattici e il rapporto tra i capi di istituto, gli insegnati e gli alunni assunse sempre più un risvolto amministrativo / burocratico, sino a eliminare quell’ aggettivo “didattico” come un’ appendice divenuta inattuale e quasi ironica: questa però è un’ altra storia da trattare in altra sede. Ma quel che è più grave è che la stessa formazione in servizio assunse contrattualmente il carattere di scelta e non di obbligo professionale. A fronte di questa situazione, anziché agire sui contenuti attraverso pochi ritocchi, soprattutto in sede contrattuale, si imboccò nuovamente la strada delle riforme di sistema e nell’ ultimo decennio assistemmo a quattro diversi intervanti:  

    * la Riforma Berlinguer,

    * la Riforma Moratti,

    * il cauto riformismo Fioroni,

    * la riforma Gelmini.

A tutto ciò si aggiunga l’ introduzione della Autonomia scolastica attraverso la legge Bassanini  (1997) ed Regolamento attuativo (1999)

Si continuò  cioè a intervenire sul contenitore, sull’ impalcatura del sistema senza incidere più di tanto sul contenuto dell’ impegno di aula, in una parola, sulla validità della relazione educativa.

Senza contare che ogni riforma di sistema richiede tempi lunghi di gestazione: approvazione di leggi, di regolamenti, di decreti attuativi cui deve seguire l’ indispensabile aggiornamento degli addetti ai lavori e la divulgazione alle famiglie e agli alunni. In questo decennio, ancora non si era perfezionato l’ iter di una innovazione che il cambiamento politico della compagine di Governo provvedeva ad iniziare un nuovo percorso provocando un autentico ingorgo di norme e di indicazioni: una sorta di gioco al cambiamento coatto, mentre l’ urgere dei tempi e la fretta giocavano negativamente sul momento più importante dell’ operazione: la riflessione, la sperimentazione, la documentazione tra i docenti  le famiglie gli alunni.

Tutto ciò  provocò e provoca una reazione di malcelato rifiuto da parte delle scuole, un senso di frustrazione e di malessere diffuso trasmesso alle famiglie ed agli alunni.. I risultati negativi testimoniati dai risultati delle prove OCSE sui nostri adolescenti ( di cui sono responsabili tutti gli ordini di scuola,  primaria compresa ), le recenti critiche dei giornali, non fanno che peggiorare la situazione. Da ultimo, la severa  analisi della neonata Associazione “Italia futura” presentata su tutti i quotidiani  e i servizi radio televisivi denuncia alcuni nodi negativi che, se male intesi,  possono preludere un nuovo  interventi sui contenitori:

    * una autonomia scolastica fraintesa che crea antagonismo e frammentazione tra le scuole;

    * il superamento, operato dalle Riforme, della cogenza dei programmi nazionali attraverso la forma delle “Indicazioni”che possono originare forme di anarchia progettuale

    * l’ appiattimento della categoria dei docenti che impedisce la valorizzazione delle eccellenze;

    * l’ abbandono dei Concorsi e le assunzioni “ope legis”

    * la denuncia del susseguirsi non stop di provvedimenti riformistici.

Non condivido, personalmente, tutti gli aspetti di questa critica. Ritengo però che costituiscano una necessaria provocazione su cui è opportuno riflettere. Concordo sull’ overdose di interventi riformistici, non tutti motivati dall’  intento di migliorare la qualità del servizio. Alludo in modo specifico all’ ultima Riforma dettata più dall’ esigenza del risparmio che dal proposito di operare un salto di qualità. Il solo pensare che dopo decenni di tempi lunghi si possano considerare il maestro unico e le 24 ore i modelli tipo della scuola primaria e che i prolungamenti di orario vengano ottenuti aggiungendo frammenti di ore in numero imprecisato , ha dell’ incredibile sulla scena europea.

Non condivido le critiche  al modello dell’ autonomia scolastica, anche perché penso che si tratti di una Riforma ancora tutta da  attuare. In effetti ha così poco inciso sulla scuola da non meritare nessun rimprovero. Si tratta di una autonomia che dispone di sempre più ridotte risorse finanziarie, gestita da dirigenti e docenti impreparati, etero guidata da una pressoché immutata regia verticistica. Quanto all’ osservazione sulle esasperata concorrenza tra scuola e scuola, a ben riflettere, è sempre esistita. Forse oggi è un po’ più accentuata per difendere la consistenza degli organici sottoposti ai rigorosi tagli voluti dalla politica ministeriale.

Il punto dolente su cui insiste il documento di “Italia futura” è costituito dall’ appiattimento del corpo docente e, aggiungerei, dirigenziale. A questo proposito è sempre bene riconoscere la presenza anche molto significativa di personale valido, motivato e preparato

Il personale della scuola attraversa oggi una crisi dovuta ad un misto di cause e scadimenti di immagine da parte di una utenza suggestionata da forme di consumismo, di qualunquismo, di perdita di valori e di interessi autentici, da scarsa valorizzazione della professionalità, da contratti di lavoro che da troppo tempo barattano la poca retribuzione con richieste di prestazione affidate in gran parte al volontarismo. E’ deficitario, soprattutto, l’ obbligo della formazione in servizio che costituisce la leva fondamentale della qualità professionale.

La componente più qualificata di ogni impresa è costituita, da sempre, dal capitale umano, dall’ impegno convinto e intelligente di chi in essa opera, e solo in un secondo tempo dalle strumentazioni e dalle strutture.  La professionalità crea le condizioni per esigere gli strumenti e le strutture. Non c’ è strumento che possa motivare l’ impegno degli operatori.

La Fondazione di cui stiamo parlando denuncia l’ assenza di serie procedure concorsuali per l’ assunzione di personale scolastico. E’ pur vero però che le immissioni in ruolo dalle vigenti graduatorie “ad esaurimento” riguardano docenti abilitati in precedenti concorsi o comunque in corsi abilitanti speciali, anche se è corretto ammettere il diverso grado di serietà tra la prima e la seconda forma di selezione. Il turn over oggi è così lento che non possiamo pensare, se  non in termini di tempo medio lunghi, ad un rinnovamento del corpo insegnante. I nuovi percorsi  di formazione iniziale e i nuovi criteri di ingresso dei docenti nella scuola, di cui si parla da anni, sono di là da venire. Sono forse da rimpiangere gli ultimi decenni  del secolo scorso quando la biennalità dei concorsi di Stato garantiva  una selezione certamente più accorta.

L’ urgenza è quella di agire qui ed ora, utilizzando le leggi a disposizione, senza invocare nuovi cicli normativi.

Le parole d’ ordine potrebbero essere:

    * aggiornamento in servizio non affidato al volontariato o al capriccio del singolo insegnante,

    * ricaduta monitorata della formazione sul lavoro di aula,

    * riconoscimento della professionalità,

    * valutazione, autovalutazione del sistema scuola,

    * sostegno alle realtà più deboli.  

Gianluigi Camera