Scuola: comuntà o azienda?

Premessa

È tempo di “rivisitare” il concetto di comunità, di comunità scolastica.

Rivisitare: un termine molto usato, oggi. Si rivisita un luogo caro, un poeta del cuore, un museo che ci ha interessato, un paesaggio che ci ha colpito. È un verbo che sta ad indicare un desiderio di volgersi indietro, nel turbinio degli avvenimenti e dei cambiamenti, per riconsiderare un valore, un’ idea, un avvenimento di ieri e che oggi può apparire, ai più, un fatto superato dagli accadimenti o dalle mode. Ma insieme a ciò urge il bisogno di riconsiderare quel fatto, attualizzandolo per contemperarlo con i problemi e le istanze del presente. Se manca questo secondo atteggiamento di mediazione e di innesto con l’attualità si corre il rischio di indugiare narcisisticamente su un elogio retorico o melanconico del passato.

È il difetto dei vecchi che vivono di ricordi e di idealizzazioni e fanno della memoria una ragione di vita.

Se si cade invece nell’atteggiamento opposto e si esorcizza il passato per guardare solo in avanti si tagliano le radici della nostra cultura, della storia stessa. È questo l’atteggiamento dell’adolescente, alla ricerca comprensibile di propri specifici valori che per affermarsi hanno bisogno di contrapposizioni e di fratture.

Ma questo oblio costituisce anche lo specifico dei riformatori radicali che, per dare spessore e credibilità al nuovo, amano i profondi distacchi e le contrapposizioni nette.

La storia ci insegna che non c’ è futuro possibile che disconosca la funzione vitale delle radici come conquista consolidata e del cambiamento come aggiunta di novità nel rispetto dell’ecologia di ogni società.

Le rivoluzioni sconvolgono gli equilibri della storia, ma il tempo, magari lentamente, contempera gli aspetti positivi del futuro e del passato.

La scuola

Tutto ciò vale per ogni aspetto della vita; vale anche per la scuola.

Il termine “Comunità scolastica” negli ultimi tempi è stato come esorcizzato insieme alle seguenti caratteristiche che lo connotavano:

  • la considerazione del carattere di relazione educativa che legava in un rapporto di interdipendenza docenti, alunni, genitori, centri organizzativi e direzionali, reti di scuole;
  • la sostanziale pari dignità dei soggetti, da cui derivava un forte, essenziale richiamo alla collaborazione, all’interno di ciascuna componente, tra le componenti, tra le scuole;
  • la valutazione negativa del competere e dell’apparire come leve per migliorare la qualità della scuola;
  • la fiducia nella collettività, nel valore del lavoro in équipe e degli organi di democrazia scolastica;
  • il rifiuto della gerarchizzazione tra i docenti.

È pur vero che questo modello, consolidato dalle migliori esperienze didattiche e formalizzato dalla ben nota normativa degli anni settanta, ha dato luogo, nel tempo, a forme di fraintendimento e di abuso: corruptio optimi pessima.

Nacque una marcata preponderanza del collegio docenti su ogni altro organo collegiale e, in qualche caso, la trasformazione del collegio in una cassa di risonanza di interessi corporativi.

Talvolta la collegialità fu intesa come un comodo paravento per annacquare ogni riconoscimento di specificità professionali e di impegno del singolo docente.

Per ciò che concerne gli alunni, il pur generoso impegno di valorizzare tutti diede luogo, in qualche caso, all’errata interpretazione di scuola facile, poco attenta alle specificità di ciascun alunno, comunque destinato a promozione sicura.

L’esasperazione di queste degenerazioni, enfatizzate da interpretazioni negative, stanno provocando un capovolgimento delle strutture stesse dell’impianto della nostra scuola, quale fu intesa a far tempo dagli anni settanta.

La Riforma Moratti e ora Gelmini puntano ad un modello competitivo ed a una trasformazione del modello comunitario in modello aziendalistico. Si tratta di una concezione che tende a capovolgere l’immagine di comunità scolastica così come è delineata dalle disposizioni sugli Organi Collegiali (1974)
Prevale una visione mutuata dal mondo economico che privilegia l’efficienza, la competitività, il merito, il rigore e la gerarchizzazione del corpo docente secondo criteri legati all’acquisita professionalità.

Alunni e genitori sono intesi come utenti che scelgono attività e percorsi e non come membri di una comunità che progetta curricoli omogenei ed assicura a tutti la possibilità di perseguire traguardi comuni. La forte differenziazione degli orari introdotti nella scuola primaria la dice lunga su questo fatto: si tende a caratterizzare una offerta formativa “self service”.

Il dirigente scolastico tende alla managerialità, in istituti sempre più ampi, più che alla connotazione di leader pedagogico.

Come si è detto in premessa, si reagisce alle possibili carenze di un modello capovolgendolo, snaturandolo, apportandovi modifiche non suffragate da una adeguata sperimentazione.

Occorre invece, a mio giudizio, collocarsi in una posizione di critica serena che, salvaguardando le strutture portanti di comunità scolastica, sappia apportarvi gli indispensabili correttivi.

Sul versante della democrazia scolastica:

  • la riforma degli Organi Collegiali, in cantiere da oltre un decennio, deve insistere sulle specificità di ogni componente, precisandone attentamente i contenuti, superando l’eccessiva centralizzazione di procedure e regole e affidando larga discrezionalità ai Regolamenti interni. Va evitata la trasformazione del Consiglio di Circolo/Istituto in consiglio di Amministrazione e di quest’ultimo in Fondazione con presenza di elementi esterni al mondo della scuola;
  • il collegio dei docenti deve essenzialmente occuparsi di POF, di organizzazione didattica senza intervenire su questioni di competenza di altri organi;
  • va ripristinata la struttura del team di classe, in molti casi annullata da una parcellizzazione di docenti per coprire i prolungamenti di orario;
  • a tutti i docenti – e non solo a quelli del settore primario – va riservato un preciso nucleo di ore per la programmazione settimanale, in aggiunta alle ore di aula.

Sul versante della professionalità docente:

  • va precisata l’insostituibile importanza della formazione in servizio, anche per ovviare alle carenze di immissioni in ruolo al di fuori dei canali concorsuali, ripristinando una non equivocabile forma di obbligo;
  • va adeguatamente riconosciuto l’impegno, la disponibilità, la qualità del servizio, evitando trattamenti economici uguali per tutti, ma senza cadere nella gerarchizzazione delle figure.

Sul versante dell’organizzazione scolastica:

  • va introdotto un sistema di autovalutazione del sistema scuola che coinvolga tutte le componenti della comunità con precisi riferimenti a parametri nazionali e all’apporto di esperti esterni;
  • vanno garantiti a tutti gli ordini di scuola tempi e contemporaneità da utilizzare in attività laboratoriali, lavoro di gruppo, capovolgendo l’attuale politica di tagli che sottrae alle scuole personale e ore di scolarizzazione;
  • va impostata una seria forma di valutazione degli alunni, oggi sconvolta da una banale e semplificatrice introduzione di voti numerici, vissuti come verdetti finali, estranei ai percorsi personalizzati di apprendimento e tendenzialmente finalizzati alla selezione.

Con queste precisazioni - e con molte altre che si potrebbero aggiungere – il concetto di Comunità scolastica, al di là di una generica affermazione di principio, suscettibile delle interpretazioni più diverse, potrebbe garantire un modello di impegno educativo, senza per questo ridurre la scuola ad un microcosmo di tipo aziendalistico.

Intorno a tutto questo occorre sensibilizzate le componenti della comunità, ma soprattutto le forze sindacali che si apprestano a definire un nuovo contratto di lavoro per il personale della scuola.

Gianluigi Camera