Appunti di vita scolastica in Giappone

(Questo testo non vuole e non può descrivere l’insieme del sistema scolastico del Giappone, ma riporta alcune impressioni raccolte nel corso di un viaggio-studio del maggio 2009).

Per il viaggiatore, il primo impatto con la scuola giapponese è rappresentata dagli studenti che in divisa vanno verso la scuola, la mattina. Le regole sono ferree qui e così pure le gerarchie.

Poi, con il passare dei giorni, si scopre una immagine più articolata. I bambini di una certa scuola primaria sono sì vestiti tutti uguali, ma restano sempre bimbi come in ogni parte del mondo: allegri e curiosi. Gli adolescenti poi modificano e personalizzano in modo più o meno evidente la divisa: gonne e calze più o meno lunghe le ragazze, nodo della cravatta più o meno allentato i ragazzi. Braccialetti colorati penzolano dagli inseparabili telefoni cellulari, rigorosamente hi-tech, che funzionano anche come carte di credito, tv, navigazione Internet. Comunque si percepisce una forte separazione fra gruppi femminili e gruppi maschili. Molti su treno e metro si addormentano stravolti da orari e ritmi massacranti. Alcuni dormono perfino in piedi.

Al di là delle impressioni, abbiamo avuto nel corso del nostro soggiorno in Giappone alcune interessanti esperienze dirette, relative ai diversi ordini di scuole.

Abbiamo accompagnato alla scuola materna Koseji, bimbo di tre anni, che vive nel villaggio rurale di Iga Ueno. Tenuto per mano dal nonno, che fa il contadino e coltiva il riso, è uscito di casa alle nove meno cinque. La scuola dell’infanzia a cui è iscritto è situata a circa 200 metri da casa sua ed è un edificio ad un piano, con una struttura molto semplice, con un grande spazio di fronte per le attività all’aperto. Koseji è molto orgoglioso di essere accompagnato a scuola dagli amici che vengono da così lontano. All’entrata è accolto da una sorridente maestra (qui gli insegnanti sembrano sorridere tutti…) e da 4 o 5 amichetti. Ci si toglie le scarpe e ci si infila le pantofole colorate. Si fa ciao con la manina e si entra allegri a giocare.

Nello stesso paesino circondato dalle risaie, verso le 16 incontriamo i ragazzi delle media (junior high school, il sistema sembra abbastanza simile a quello americano) che escono da scuola. Ci vedono da lontano così “diversi” e un gruppetto di “coraggiosi” ci saluta in giapponese (“konichiwa!”) e scappa ridendo.

Qualche giorno dopo, che emozione nell’incontrare le scolaresche in “gita” a Hiroshima, nel parco della Pace, a pochi metri dal punto in cui è scoppiata la prima bomba atomica. Ci sono i più grandi e i più piccoli. Tutti sono molto composti. Nell’area che ricorda i bambini periti nell’esplosione e quelli contaminati dalle radiazioni, portano i lavoretti in stile “origami”, fatti con la carta piegata.

E che emozione, ricordare i piccolissimi, con i loro cappellini colorati, tenendosi per mano con le due maestre di fronte al monumento simbolo dell’esplosione, con le manine giunte nello stile scintoista, con il capo chino. Ci chiediamo in che misura si rendano conto di quello che è successo, ma comunque trasmettono un sentimento non formale di partecipazione profonda, a qualcosa che certo è molto più grande di loro.

Qualche giorno dopo, in un villaggio nel nord del paese, Nahara, in una zona agricola non molto ricca, sono invitato a tenere due “lezioni” sull’Italia nelle classi seconda e terza della scuola elementare locale.

Subito colpiscono alcune differenze con le scuole che abbiamo visitato e frequentato in Italia e all’estero. All’ingresso non ci sono bidelli. La sorveglianza è garantita da un sistema di telecamere con i monitor in sala insegnanti. Siamo accolti da due allievi che orgogliosamente fanno da “guide”. Dobbiamo toglierci le scarpe, come peraltro quasi dappertutto in Giappone, e ci danno delle pantofole verdi con lo stemma della scuola. Subito ci colpisce la pulizia e la luminosità della scuola. Scopriamo che le pulizie sono considerate una attività educativa e sono a cura di allievi e insegnanti.

Le classi sono “aperte” dal punto di vista architettonico (non a livello pedagogico!), con pareti mobili, secondo lo stile della casa giapponese, con spazi enormi rispetto ai nostri standard. Ci sono sei classi in tutto (la scuola primaria va dalla prima alla sesta) e altrettanti laboratori per le diverse materie: musica, computer, inglese, educazione tecnica…).

Ci sono circa 30 allievi per classe. Gli insegnanti appaiono molto sereni e gentili, ma non parlano lingue straniere, per cui i contatti con noi sono piuttosto formali.

Dopo le “lezioni” sull’Italia verso le 12 finisce la prima parte della giornata e si va tutti verso la mensa. Qui c’è un’altra sorpresa. Ci accolgono alcuni studenti vestiti da camerieri. Ci sono file ordinate, con un sistema tipo “selfservice” per ogni classe. Si mangia una minestra, pollo con verdura e si beve latte. Dopo che gli ospiti stranieri sono stati presentati a tutte le sei classi riunite, si aspetta che tutti siano stati serviti. Una bimba al microfono spiega le caratteristiche del pranzo, ringrazia a nome di tutti il cuoco, augura buon appetito (“itedakimas”) e…invita tutti al silenzio!
Solo a questo punto si inizia a mangiare.

Ebbene sì, per 10 -15 minuti, dalle 12.15 in poi si mangia e basta! Si tratta come ovvio di un’altra scelta educativa.

Alla fine del pasto si verifica una scena un po’ surreale (dal nostro punto di vista, in realtà una routine per loro). I bambini giocano per qualche secondo ad una specie di morra cinese (carta, forbici, pietra) per decidere chi deve preparare. Alcuni sono incaricati di pulire per terra e si infilano sotto i tavoli. Li osservo: sotto il tavolo in realtà è tutto lucido e pulito come prima del pranzo e non c’è nulla da raccogliere. Gli incaricati stanno per qualche minuto sotto il tavolo a cercare qualche briciola e poi riemergono!
A questo punto si potrebbe pensare che è venuto il momento della ricreazione…e invece no!

Tutti in classe ai propri posti con…lo spazzolino da denti in bocca. E’ il momento dell’igiene dentaria. Anzi più che un momento, si tratta di due minuti esatti dell’orologio che campeggia in ogni classe a scandire i secondi. Osservo i ragazzini: qualcuno impiega correttamente lo spazzolino, altri lo tengono in bocca come si fa con una sigaretta!

A questo punto inizia la ricreazione.

Avendo osservato molte scolaresche nel corso degli itinerari giapponesi, posso testimoniare che gli intervalli dopo mensa sono identici a quelli italiani e (credo) in tutte le scuole del mondo: una simpatica confusione che a volte sconfina in un po’ di caos!

La scena finale della visita alla scuola prImaria di Nahara è a cura di un maestro con 4 allievi appositamente scelti, che ci accompagnano all’uscita, ci guidano agli armadietti, ci aiutano a cambiarci le scarpe.

Li vedo ancora adesso nella mia mente, tutti e 5 quasi sull’attenti davanti alla scuola che ci sorridono e ci fanno ciao con la mano.

Probabilmente ricorderanno a lungo la visita di quelle persone venute da 10.000 chilometri di distanza e 12 ore di volo.

Anche noi ricorderemo a lungo questa esperienza!

Bruno Manfredi (con la collaborazione di Lucia Ferrero)