S'inerpicano sullo sgabello del quiz e cominciano a sgranare lauree, master e dottorati. Tremi per loro, una brezza d'ansia ti attraversa: un palpito d'incerto malessere affacciato sul presentimento di una vergogna in agguato. Avresti aspettato a qualificarti. Ma il titolo paga, riempie la bocca e nutre l'arroganza. Il presentatore ci guazza. Non perde occasione, com'è giusto, per ricordare al pubblico la statura del concorrente. E arrivano le domande. Alcune sono così scontate da indignare. Febo Conti nel suo vecchio gioco "Chissà chi lo sa" non si sarebbe mai sognato di proporle alle classi di studenti medi che vi si sfidavano. Ora si tratta di completare un proverbio contadino, ora di distinguere un pronome da un articolo o di attribuire a scelta fra più opzioni una cappella a Giotto o a Michelangelo; ora di riferire la calaza a un uovo, un albero, una barca o a una merciaia. E qui il dottore comincia a "ragionare" a voce alta. Per il proverbio non è abbastanza vecchio; per la grammatica è passato troppo oltre con gli studi; quanto alla cappella non sa dove piazzare gli Scrovegni: è sicuro di averla vista e ammirata, ma non ricorda se a Firenze, a Roma, a Padova o ad Orvieto. La calaza non crede proprio d'averla mai sentita. E' l'emozione, commenta il conduttore guardando la telecamera. Sì, da casa è più facile rispondere, adducono quasi tutti senza rossore. Sono sempre le domande più elementari a far cadere i concorrenti più preparati. Montagne di cultura erette su basi di wafer. Impugna il pulsante il pubblico delle Tordelle a soccorrere il dottore della Lucignolo Academy. E la risposta viene in uno scroscio di applausi. Bastava una maestra pignola, un po' di oratorio, qualche lezione a memoria, un quattro al momento giusto. Ma il premio aumenta irreparabilmente (è quel che conta), e il sogno del viaggio alle isole si avvicina. Forse si potrà anche cambiare l'auto.
Cari concorrenti, siccome siete spesso i dottori cui affidiamo il nostro corpo malato o l'istruzione dei nostri figlioli o l'amministrazione dei nostri soldi, non diteci in che cosa siete laureati. Lasciateci il piacere d'indovinarlo. O la grazia di non saperlo.
Valeria Amerano
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