La recente difficile situazione economica e i sempre più sensibili e complessi contesti sociali stanno nuovamente facendo emergere con forza il ruolo dell'istituzione scolastica, particolarmente significativa nel rilancio delle economie e delle società. L'investimento nella scuola è la principale assicurazione affinché forti tutele individuali in momenti di crisi permettano di ridurre la portata di quest'ultima; ancora di più questo è vero quando le difficoltà economiche e sociali si fanno particolarmente pressanti, come è già stato evidenziato dall'Unione Europea, dalle realtà economiche più avanzate, nonché dai governi tradizionalmente sensibili agli investimenti nella scuola.
Per quanto ci riguarda, si sono negli ultimi anni affermati orientamenti politici e sociali poco chiari e contraddittori che portano oggi a chiedersi cosa si voglia dalla scuola e quale sia il ruolo che quest'ultima dovrebbe ricoprire nella società. Si parla di significativo ruolo di coesione sociale in contesti disagiati o a forte immigrazione, di importanza nella formazione dei giovani, di grande rilievo per i percorsi di ricerca in grado di avere importanti e positive ricadute su sviluppo e lavoro, ma insieme di dispendio di risorse per insegnanti e organizzazione, di semplice ruolo di tutela pubblica dei minori e così via.
Oltre alle parole e alle indicazioni programmatiche è forse essenziale allora porre l'accento su quale scuola sarebbe auspicabile nei prossimi anni. So che nel momento in cui sto scrivendo è in corso una revisione del disegno di legge Aprea, revisione che probabilmente sarà conclusa nel momento di uscita del notiziario, e che mi auguro si muova verso una nuova scuola di significato.
Veniamo a noi. L'istituzione scolastica fino ad oggi è stata un sistema fortemente centrato che ha saputo bene rispondere alle richieste di una alfabetizzazione di massa, costruendo cittadini e contesti che sapevano comunicare con parametri condivisi di riferimento.
La legge sull'autonomia ha poi progressivamente decentrato le competenze scolastiche, mantenendo tuttavia una forte centralità sia nelle indicazioni nazionali, sia nelle responsabilità sociali ed economiche dell'istituzione.
Ora ritengo utile muoversi verso nuovi orientamenti di politica scolastica.
Innanzitutto occorre richiedere alla scuola di essere uno strumento di partecipazione democratica nell'orientamento dell'offerta formativa largamente intesa nonché nella costruzione del curricolo dell'alunno. La costruzione del curricolo è il momento in cui le diverse componenti il mondo degli studenti desiderano una parte attiva nel percorso formativo: innanzitutto gli studenti e gli insegnanti, e poi i genitori, il territorio, i contesti di vita vissuta. La scuola deve oggi aprirsi a questi soggetti e saperli accogliere offrendo una dimensione e uno spazio costruttivo della sua realtà sociale e territoriale. Devono farsi avanti una grande responsabilità e una netta capacità di visione organica dei contributi, dei ruoli e delle possibili integrazioni dei vari contesti nella migliore organizzazione del tempo, della didattica, di attori e interessi diversi. Lasciare tutto al caso significherebbe andare incontro all'annullamento dell'istituzione imboccando un tunnel pericolosamente buio.
Formazione, collegialità, intelligenza diffusa e distribuita, capacità di coordinamento e di progettazione, valutazione e autovalutazione sono le parole che devono entrare a fare parte di questa realtà organizzativa.
La didattica capace di esprimere percorsi di eccellenza, e soprattutto in grado di assumersi la responsabilità dei percorsi intrapresi, è un aspetto che deve farsi ancora più strada tra gli insegnanti. Non un curricolo imposto dall'alto e pragmaticamente realizzato nelle classi, ma una risposta alle esigenze che provengono dagli alunni, dai loro desideri di crescita, dai loro contesti sociali e culturali, dalle prospettive e dagli obiettivi professionali che nascono dagli ambiti internazionali, siano essi lavorativi che di indirizzo. Insegnanti quindi che, coerentemente con quanto detto, abbraccino un “core-curriculum” degli obiettivi comuni, minimi ma essenziali, e che su questi sappiano riflettere e costruire un percorso, un curricolo proprio e identitario che risponda alle esigenze di quegli alunni, di quegli studenti in una prospettiva di affermazione di identità e competenze verso una crescita globale, intesa sia nel senso dello sviluppo dei vari aspetti della personalità, sia nel senso di una visione ampia e internazionale del termine. Prendersi la responsabilità del curricolo dell'alunno si traduce in progettare, riflettere, sapere valutare sia se stessi in relazione a quanto professionalmente svolto, sia gli alunni in relazione alla loro capacità di pensare se stessi, la loro formazione e il loro futuro.
Anche la progettazione didattica passa attraverso una intelligenza distribuita e diffusa, capace di coordinare e individuare strumenti di valutazione delle attività al fine di verificare se il percorso effettuato risponda davvero all'eccellenza formativa prefissata. Un aspetto importante che deve acquistare spazio (e che oggi risulta drammaticamente assente) è legato all'apertura comparativa verso altri sistemi scolastici, didattici, educativi e organizzativi che, attraverso le migliori pratiche e la loro contestualizzazione, sappiano riprogettare e riflettere sulle possibili ricadute all'interno della propria progettazione.
Per fare tutto ciò, progettare dal basso una scuola presente, attenta, efficace sul territorio, occorre un'ampia autonomia finanziaria che sappia parlare a tutte quelle realtà che nella scuola hanno interessi - sia progettuali sia in relazione all'efficacia dei percorsi attuati.
L'autonomia finanziaria è un aspetto molto delicato, ad oggi molto discusso, ma non tradotto in termini concreti. Essa si presenta come il naturale sbocco di quanto sopra detto: risultano difficili da pensare l'autonomia organizzativa e l'autonomia didattica senza la possibilità di programmarle finanziariamente, senza la possibilità di decidere dove e come investire.
Il primo finanziatore di una scuola pubblica non può che essere la comunità, lo Stato, a garanzia della libertà dell'istituzione e della sua qualità; ma tutti coloro che in qualche modo sono interessati all'eccellenza dell'istituzione, enti privati o pubblici, dovrebbero avere l'opportunità, il dovere e il piacere di intervenire. Questo si traduce in un partecipato e collaborativo modo di fare scuola, in grado di valorizzare la specificità del ruolo di ognuno e di sviluppare una importante funzione di controllo e di confronto tra chi dentro la scuola attua i percorsi e chi da fuori collabora a questi percorsi.
Aprire a realtà economiche altre, non in sostituzione dello Stato, ma a garanzia di democrazia dell'istituzione, legata soprattutto alla possibilità di partecipazione, non deve tradursi in un ruolo ricattatorio o di proprio tornaconto, bensì di condivisione di obiettivi e risorse nell'ottica di una sempre migliore progettazione e efficacia. Tutti coloro che hanno interesse al successo di un determinato progetto; che hanno interesse a sponsorizzare un percorso; che hanno la possibilità di influenzare positivamente l'efficacia dell'istituzione dovrebbero essere i benvenuti a operare nella scuola. Accanto agli insegnanti e agli studenti, ad esempio: i genitori, gli utenti della scuola a vario titolo, enti locali e regionali, associazioni, fondazioni, realtà private quali centri di cultura o aziende coinvolte nei percorsi dell'istituzione, in altre parole tutti coloro che hanno interessi nella riuscita del piano dell'offerta formativa della scuola dovrebbero poter dialogare e confrontarsi con la realtà istituzionale della scuola stessa. Sta proprio a questa componente istituzionale individuare chi può avere interessi positivi e costruttivi, determinare i loro requisiti e valutare le loro aspettative per orientare e dirigere la loro influenza sugli obiettivi che la scuola si pone.
Una scuola così intesa, che parta da se stessa, ha necessità di un valido coordinamento che sappia mettere in rete le realtà, le une con le altre, tenendo insieme le componenti del curricolo condivise (il “core-curriculum”), la formazione degli insegnanti, insieme a un monitoraggio costante e continuo dei percorsi e delle esigenze finanziarie recuperate, necessarie o esuberanti: questo è il compito precipuo della componente centrale e unificante dell'istituzione.
Occorrono ora percorsi di sperimentazione che creino le condizioni e permettano le esperienze di una scuola così intesa, in modo che progressivamente nuovi orientamenti culturali possano farsi largo.
Chi oggi governa la scuola non sembra in grado di progettare nuove identità culturali dell'istituzione e nuovi percorsi: chissà che non si riesca a partire dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici, da chi tutti i giorni fa la scuola. Discuteremo di questo e delle possibilità di fare una scuola diversa e partecipata a partire da novembre in associazione.
Fabrizio Ferrari
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