Via Assarotti n. 2

Non so perché, ma molte volte mi ritorna in sogno. Mi rivedo varcare il portoncino stretto, salire le scale via via sempre più ripide, attraversare la grande sala col parquet su cui si affacciava, mi pare di ricordare, la porta dell'Associazione Dante Alighieri, per accedere poi al quarto e ultimo piano, quello delle soffitte, dov'era la sede della Nicolò Tommaseo. Era il 1973. Avevo diciotto anni e mi ero appena diplomata. A illuminare il buio in cui brancolavo per preparami degnamente al concorso magistrale, era stato un consiglio del professore di pedagogia: "Se vi interessa insegnare ed essere informate di tutto ciò che accade nel mondo della scuola, subito dopo l'esame di maturità iscrivetevi alla Tommaseo, in via Assarotti 2". Io avevo colto il suggerimento, e ancora gliene sono grata.

Arrivati dunque al piano più povero dell'edificio, quello delle soffitte, si spalancava un'animazione accogliente e febbrile. Alla piccola segreteria, stipata di armadi e ordinatissimi archivi, sovrintendeva una signora dai capelli corti candidi, la voce limpida e il piglio sbrigliato: Maria Chiaudano. Al senso pratico dell'ex insegnante univa l'efficienza di quelle segretarie scrupolose e sollecite che sono in cima alle speranze di chi entri in un ufficio per essere ascoltato ed istruito.

Le sue indicazioni erano nette, le risposte puntuali; si aveva da subito la sensazione di trovarsi nel luogo giusto, con le persone cui accordare fiducia. Ad aiutarla era un signore di grande distinzione, non molto loquace, con lo sguardo dolce: il professor Manfredi. Di là, nella lunga sala dal soffitto basso, poco luminosa, che guardava in fondo sulla biblioteca civica, erano disposte, in numerose file, le robuste e spartane sedie del tipico arredo scolastico. I corsi erano tre, programmati in giorni e orari diversi per dare al folto numero di iscritti la possibilità di frequentarli nel tempo libero da impegni di lavoro o di studio. Ne esisteva uno, affollato come gli altri, che concentrava le quattro ore di frequenza settimanale dalle otto alle dodici della domenica mattina. Alla cattedra si alternavano professori di psicologia infantile, metodologia didattica, legislazione scolastica, storia della pedagogia e letteratura per l'infanzia: le varie discipline su cui si fondavano le prove scritte e orali del concorso magistrale. Ma l'anima della Tommaseo era il professor Chicco. Alto, sottile, nervoso, lo sguardo verde acutissimo, occhi brillanti d'intelligenza e d'ironia, due spilli che attraversavano l'interlocutore, la barbetta vispa e un'eleganza connessa all'impeccabile figura da gentiluomo del primo Novecento, egli s'imponeva immediatamente all'attenzione degli studenti per l'autorevolezza, la straordinaria padronanza del linguaggio, la chiarezza delle idee e l'affascinante capacità di comunicarle. Sapeva le cose e sapeva dirle. Il suo pensiero lucido e la lunga esperienza delle maggiori difficoltà dei canditati dissipavano quelle zone d'ombra che in ogni studente costituiscono - per studi affrettati o insegnamenti lacunosi - il giacimento delle conoscenze assimilate a metà, dei dubbi grammaticali e delle incertezze sintattiche. Assegnava temi complessi, s'impegnava a fornirci articolate tracce per il loro svolgimento, li correggeva con l'umiltà della matita grigia prodigando consigli.

"Il tempo libero investe l'impiego del tempo del non impegno... ha una base di socioeducazione e interessa anche la scuola"... "L'educazione permanente deve rendere capace ognuno di meglio comprendere il mondo tecnologico, sociale, culturale che ci circonda"... "Solo la preparazione diuturna all'autodisciplina e alle virtù civiche potrà rendere possibile l'esercizio democratico del potere ed effettivo il precetto per il quale la sovranità appartiene al popolo"... "Le tecniche di gruppo aiutano i membri del gruppo a prendere coscienza dei fenomeni emotivi... favoriscono lo sviluppo di comunicazioni multilaterali reciproche, stimolano il senso della collettività". Li ho conservati tutti nelle loro buste arancione, gli elaborati corretti dal professor Chicco; mi hanno seguito nei vari traslochi della mia vita inquieta; li considero i primi passi di un'espressione esitante, avvolta ancora nel bozzolo di una grafia giovane, verticale, provvisoria: il ritratto interiore di me fiducioso e fervido che non posso ritoccare e che somiglia tanto alle mie fotografie di quegli anni.

Scrivevo con la certezza confortante che di là c'era l'uomo di lettere, del massimo talento, a leggermi, valutarmi e guidarmi. Una voce che avrebbe raddrizzato i miei errori, orientato il mio cammino di studio con parole intelligenti e garbate. Non tralasciava mai, al fondo dei suoi commenti, una frase augurale che m'incoraggiasse e che in seguito, percorrendo altre strade, mulattiere di scrittura solitaria, mi è molto mancata. Il professore aveva a cuore il problema di ciascuno: superare una difficile prova fra migliaia di candidati a fronte di poche centinaia di posti; e uno scopo civile più vasto, elevato e ambizioso: formare al meglio gli educatori per avere, domani, una società più consapevole. La scuola ti aveva diplomato, la Tommaseo ti insegnava a insegnare. Ti rivelava il senso del mestiere che avevi scelto e che mai avresti potuto affidare all'improvvisazione o ad una sia pure solida cultura generale. In tempi in cui avanzava la trascuratezza formale in nome di una malintesa spontaneità, Chicco ci esortava ad essere accurati nella compilazione dei documenti "perché", non si stancava di ripetere, "fra migliaia di concorrenti, la prima selezione avviene tra chi ha presentato una domanda adeguatamente compilata, entro i termini di legge, e gli altri: che hanno riportato dati parziali, inesatti, illeggibili o in ritardo. E non accontentatevi di inviare al Provveditorato una raccomandata semplice: richiedete sempre la ricevuta di ritorno, affinché nessuno possa negare di aver ricevuto la vostra documentazione". Punteggiava le sue lezioni con lampi di umorismo raffinato eppure bruciante, lapidario com'è nello stile piemontese: "Vi consiglierei di rileggere bene il vostro tema prima di consegnarlo...

Qualcuno è riuscito a scrivere viceserva in luogo di viceversa... Non che sia un errore grave, ma al concorso converrà essere il più possibile precisi: visto che non sarà, in quell'occasione, la quantità dei candidati a mancare". Ci suggeriva di non insistere troppo con le citazioni: "Alla lunga stancano, rivelano ostentazione e allo stesso tempo insicurezza, e privano il testo di quell'impronta personale che fa apprezzare un candidato. Fate tesoro di ciò che avete letto e studiato per comporre qualcosa di originale, senza chiamare in causa ad ogni passo il padre di una teoria. Non temete: se avrete alle spalle buoni libri, si capirà comunque".

Non so perché nei sogni ritrovi via Assarotti. Non ero felice nemmeno allora. Ho sempre avuto addosso il marchio della tristezza; ma a quel tempo ero al di là del disinganno e ignara delle maggiori gioie. Forse, in sogno, torno per quelle scale come si torna volentieri in un luogo che nella memoria viene prima di un grande evento, perché alla fine amiamo rivederci inconsapevoli nel limbo dell'attesa.

Valeria Amerano