Gli esempi che proponiamo in queste poche pagine mirano ad offrire al docente alcuni spunti che lo aiutino ad impostare in una classe terza un itinerario didattico fondato su fonti pertinenti e accessibili ad un bambino di otto-nove anni.
Riteniamo necessario, a tale proposito, tralasciare fasi ed episodi del lungo processo, articolato e per certi aspetti ancora controverso, dell’origine della specie umana, della progressiva conquista della stazione eretta, della conseguente conquista del suolo, dell’uso primordiale della pietra come strumento di difesa e di predazione: elementi questi le cui tracce si perdono nella notte dei tempi e le cui interpretazioni si rifanno a scuole di pensiero diverse e sovente contrapposte.
Proponiamo invece un approccio più “familiare” e nel contempo più documentato, che si fondi sui bisogni primari dell’uomo e sui problemi del loro soddisfacimento: non solo quelli connessi al sostentamento, al riparo, alla difesa, ma anche altri meno elementari, più complessi e problematici come la socializzazione e la comunicazione, il rapporto con le forze misteriose della natura, l’espressione artistica.
Su approcci a molteplici problemi simili a questi, affrontati dall’uomo nel corso della sua evoluzione, si fonda il testo di approfondimento di recente pubblicazione, citato in calce a questo scritto.
Sotto il profilo del metodo occorre sottolineare che i percorsi da noi proposti si fondano su situazioni atte a motivare il bambino e a fornirgli elementi di conoscenza e di riflessione che gli consentano di elaborare ipotesi e inferenze.
Va da sé che un procedimento di tipo euristico (come è noto il verbo greco “eurískein” significa “cercare, scoprire”) necessiti dell’intervento costante seppure non invasivo dell’insegnante e trovi un terreno favorevole in un contesto classe al cui interno ciascuno sia motivato a fornire apporti di esperienza, a tentare interpretazioni, a modificare i propri punti di vista a fronte di altri più convincenti e risolutivi.
I tre esempi che proponiamo si rifanno a tre distinti periodi del Paleolitico Superiore, rispettivamente risalenti a quarantamila, diciassettemila, cinquemila anni fa. Essi non hanno certo la pretesa di delineare i caratteri fondamentali della preistoria, anche solo di quella più vicina a noi, ma si limitano a prendere in esame altrettante “situazioni-problema” da cui i bambini possano essere in grado di desumere, se adeguatamente guidati, elementi di conoscenza e soprattutto ipotesi credibili su cui riflettere e confrontarsi.
La caverna dei misteri
Un luogo comune da sfatare è quello secondo il quale le prime comunità umane abbiano sempre e comunque abitato le caverne. Questo si verificava in valli alpine o in tratti di costa alta e rocciosa: ne sono un esempio i “Balzi Rossi”, al confine della Liguria con la Francia, dove la falesia che arriva fino al mare si apre in profonde fenditure verticali che attestano la presenza dell’uomo in ère successive attraverso il rinvenimento di sepolture, di rozze incisioni, di ammassi di ossa animali, di punte di frecce in selce...
Tuttavia le grotte, laddove esistono, non hanno costituito sempre un riparo per l’uomo. Così è avvenuto, ad esempio, per l’intrico sotterraneo delle Grotte liguri di Toirano, delle quali solo una ridotta parte di cunicoli reca tracce della presenza umana. Presenza e non dimora, verosimilmente incompatibile con il contemporaneo e poco rassicurante dominio dell’ “Ursus Spelaeus”, attestato dall’ammasso di ossa di eccezionale grandezza che occupa tuttora la parte più calda della caverna.
L’archeologia e la paleontologia ipotizzano che le Grotte di Toirano, in alcune loro articolazioni, siano state per millenni un luogo di caccia. Gli uomini del Paleolitico Superiore vi si sarebbero inoltrati in gruppo per fronteggiare la mole e l’aggressività dell’orso: lo dimostrano alcune impronte di piede umano impresse nella fanghiglia rassodata di uno dei cunicoli e risalenti, secondo alcuni esperti, a circa quarantamila anni fa; lo dimostrano inoltre tracce di fumo di torce resinose, oltre ad uno strano ammasso di pallottole di fango, anch’esso rassodato, scagliate contro la parete rocciosa di un altro anfratto.
Sono questi gli elementi di conoscenza che, per quanto possibile, dovrebbero essere desunti da fotografie facilmente reperibili, quanto meno su Internet, e dar luogo ad un itinerario concettuale da sviluppare in un contesto classe.
Gli interrogativi che seguono sono un mero esempio di spunti di quel percorso che porta ad elaborare interrogativi, ipotesi e interpretazioni
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Per quali motivi (sono certamente più di uno) le grotte di Toirano non avrebbero offerto all’uomo un rifugio sicuro e confortevole? Che cosa sta a dimostrare la presenza di impronte di piedi di due uomini di modesta statura? E le tracce di fumo delle fiaccole resinose? I due esseri umani sarebbero stati i soli ad affrontare l’orso, o verosimilmente avrebbero fatto parte di un gruppo più numeroso di cacciatori?
Si suppone in effetti che la caccia ad animali così forti ed aggressivi comportasse un’organizzazione rigorosa ed una funzionale ripartizione di compiti. Non sarebbero stati rinvenuti nelle grotte reperti di armi, ma in che cosa queste potevano consistere, considerata l’età degli altri reperti? E inoltre: i cacciatori che reggevano le fiaccole avrebbero potuto affrontare contemporaneamente l’orso? Come spiegare infine la presenza delle pallottole di fango rassodato, ricoperte da uno strato di calcite che ne attesterebbe l’autenticità? Sarebbero state sufficienti ad affrontare l’orso, o sarebbero unicamente servite a spingerlo verso l’ingresso della caverna dove sarebbe stato meno arduo abbatterlo?
Alcuni paleontologi spiegano la presenza delle misteriose pallottole come facenti parte di un rito scaramantico, ma, al momento, non vi sarebbero elementi in grado di convalidare o di smentire tale ipotesi.
La “Cappella Sistina della Preistoria”
Si trova in Francia, nel Périgord: è la grotta di Lascaux e fa parte delle numerose grotte comprese nella zona franco-cantabrica; forse, tra tutte, la più celebre.
Scoperta casualmente nel 1940, è stata chiusa al pubblico nel 1963, perché i batteri introdotti dalla gran massa dei visitatori hanno gravemente compromesso le pitture, corrodendole a poco a poco. Per questo motivo oggi le pitture stesse sono state per l’80% riprodotte con precisione millimetrica in una grotta artificiale che sostituisce parte di quella originaria e nella quale vengono introdotti i visitatori.
I singolari affreschi occupano talora il soffitto, talora le pareti della grotta naturale che si addentra nel sottosuolo formando cunicoli, pozzi, aree circolari chiamate “cappelle”. In effetti la teoria più diffusa tra quelle che spiegano l’origine delle pitture stesse considera la grotta una sorta di “santuario”.
Sicuramente gli abitatori del Périgord nel Paleolitico Superiore avrebbero praticato la caccia e la raccolta di frutti spontanei, ma non avrebbero abitato le grotte. Secondo la teoria più accreditata gruppi di pittori “di professione” si sarebbero addentrati nella caverna - peraltro di difficile accesso - a partire da diciassette millenni fa, avrebbero costruito impalcature in legno di cui sono stati ritrovati i resti e, servendosi di colori ricavati dalla roccia (ocra gialla e rossa, manganese nero) e di pennelli di crine animale, avrebbero dipinto splendidi esemplari di renne, di bisonti, di uri o buoi selvatici, di cavalli, di orsi, di cervi e di stambecchi, senza contare alcuni felini che oggi vivono nelle foreste e nelle savane dell’Africa. Animali in lotta fra loro, in alcuni casi feriti e agonizzanti, in altri casi nell’atto di abbattere l’avversario, talvolta raffigurati come se procedessero riuniti in una mandria lungo itinerari sconosciuti.
La vivacità dei colori, il movimento delle figure, l’uso della prospettiva fanno di queste immagini degli autentici capolavori che sono diventati patrimonio dell’umanità. Manca tuttavia la rappresentazione del paesaggio e dell’uomo: l’unica figura umana è una sorta di pupazzo, rigido e schematico, rappresentato nell’atto di essere abbattuto da un poderoso bisonte.
Sotto il profilo didattico occorre un preliminare approccio alle più significative riproduzioni delle pitture di Lascaux - abbastanza diffuse e comunque reperibili anch’esse su Internet - per suscitare gli interrogativi che possono scaturire in un lavoro d’aula.
Cerchiamo in tal senso di avviare i bambini a formulare alcune ipotesi, pur sapendo che a tutt’oggi gli stessi paleontologi non forniscono risposte certe e che le teorie in campo non sono in grado di spiegare i misteri della grotta in tutta la loro complessità.
A quale scopo gli ignoti pittori avrebbero dipinto le pareti di roccia? Per ingannare l’attesa di sorprendere l’animale da cacciare? Per rendere la caverna più “accogliente” come si potrebbe fare con le pareti di casa? Inoltre: perché sono gli animali l’unico soggetto? Che cosa potevano rappresentare questi per un popolo che viveva di caccia e di raccolta spontanea? Per quale motivo comparirebbero animali delle savane tropicali insieme con animali nostrani? E ancora: che cosa fa supporre che la grotta fosse considerata un “santuario”? A chi poteva essere dedicato? Quale scopo potevano avere i riti che vi si praticavano? Infine: perché l’uomo viene raffigurato in forma elementare e schematica, nudo e inerme di fronte alla forza e all’aggressività del bisonte?
Eppure la specie a cui egli appartiene è dotata di un’intelligenza non dissimile da quella dell’uomo moderno, di inventività, di culto dell’arte. Egli fa certamente un uso simbolico della pittura; ma, in tal caso, che significato possono avere i simboli? Sono dei messaggi intenzionali? Se sì, di che genere? A chi possono essere rivolti?…
L’uomo venuto dal ghiaccio
È possibile che i bambini abbiano già sentito parlare del misterioso personaggio rinvenuto nel 1991 ai piedi del ghiacciaio del Similaun nell’alta Val d’Adige, presso il confine austriaco. Oetzi - il nome gli è stato attribuito perché è stato ritrovato nella valle dell’Oetzal - è la testimonianza di come potesse vivere un uomo di cinquemila anni fa in un ambiente montano, freddo e inospitale.
Oetzi è piccolo di statura, ma è forte e temprato alla fatica; è pieno di fratture ossee, ma appare ancora agile e relativamente giovane; risulta vestito di pelli di animali domestici e ricoperto da un mantello di fibre vegetali intrecciate; è armato di arco e di frecce, di un pugnale in selce e di un’ascia di rame. Il suo abbigliamento e il suo equipaggiamento non si limitano a fornire elementi di conoscenza, ma inducono ad elaborare ipotesi che, come vedremo, offrono solo in parte spunti che consentano di validarle o di smentirle.
Chi era Oetzi? Perché si trovava ad un’altezza superiore ai tremila metri sul far dell’autunno, in una zona già innevata?
Potrebbe essere un contadino: lo dimostrerebbe il suo abbigliamento, consistente in pelli di animali domestici cucite tra loro; sarebbero stati inoltre trovati sul suo corpo e le sue vesti chicchi di granaglie. Ma, se appartenesse ad una comunità agricola del fondovalle, per quale motivo si troverebbe a quell’altezza quando è tempo di immagazzinare il raccolto estivo? Potrebbe essere un soldato, visto che possiede delle armi, ma contro chi potrebbe combattere in una zona ad alta quota del tutto isolata e spopolata? Potrebbe essere un mercante, ma perché dovrebbe valicare le Alpi in quella stagione inclemente? Inoltre che cosa potrebbe barattare, considerato che ha con sé lo stretto necessario per sopravvivere? Potrebbe infine essere un pastore: è l’ipotesi più probabile, essendo la valle dell’Oetztal ricca di pascoli estivi, ma il fatto che venga del tutto abbandonata sul finire della bella stagione pone anch’essa l’interrogativo sulla presenza di Oetzi.
Sulla base di elementi probanti gli studiosi hanno formulato l’ipotesi che il nostro uomo abbia compiuto il percorso dalla valle alla montagna in un breve volgere di tempo.
Forse era inseguito. Da chi? Per quale motivo? Sicuramente sostenne un combattimento, verosimilmente con il suo assassino, che lo ferì a una mano, gli scagliò una freccia la cui punta di selce gli fu trovata in una spalla, lo uccise con un colpo sferrato alla nuca. Chi dunque lo uccise? Perché?
Il mistero della vita e della morte di Oetzi non è ancora stato svelato e forse non lo sarà in futuro, anche se la scienza scopre poco per volta particolari nuovi che mettono in luce circostanze prima ignote.
I tre esempi addotti mirano a far comprendere a un bambino di otto-nove anni come la storia si fondi sostanzialmente su interpretazioni e come queste prevalgano sugli elementi descrittivi quando le vicende si svolgono in periodi troppo lontani da noi e sono parzialmente avvolte nel mistero.
La storia, quando è “vera”, non risolve tutti gli interrogativi e non soddisfa tutte le curiosità: solo l’eventuale ritrovamento di altre grotte coeve e per certi aspetti simili a quella di Toirano potrebbero far luce sul mistero delle pallottole di fango scagliate contro la parete rocciosa.
Quanto al mistero della morte di Oetzi, esso potrà mai essere chiarito? Eppure la scienza, nel corso di circa un ventennio, ha scoperto che l’uomo del Similaun non è morto di stenti, come era stato ipotizzato all’atto della sua scoperta, ma è stato aggredito e ucciso.
E più in generale: l’uomo del Paleolitico Superiore come quello di Lascaux non deve essere considerato secondo lo stereotipo dell’essere animalesco armato di clava che popola le caverne, ma come colui che, in una determinata fase della sua evoluzione, avverte l’esigenza di propiziarsi le forze misteriose della natura attraverso riti a noi sconosciuti e attraverso la pratica intenzionale dell’arte. Alcuni elementi di verità, o quanto meno di veridicità, ci derivano dalle tracce che egli ha lasciato, ma altri elementi si fondano su un numero insufficiente di indizi significativi e facilmente decodificabili.
La storia va interpretata e l’interpretazione varia a seconda degli interessi, della sensibilità e delle conoscenze di chi la avvicina. In ogni caso elaborare risposte ragionevoli ai molti interrogativi proposti dallo svolgersi delle vicende, confrontarle fra loro in un contesto motivante, riconoscere che ciascuna necessiterebbe di ulteriori approfondimenti e di ulteriori elementi di documentazione, conferisce alla storia stessa quel carattere formativo che molti stentano a riconoscerle, soprattutto quando è rivolta all’infanzia.
È forse più importante saper mettere in azione i mezzi e le risorse concettuali e immaginative per cercar di appurare la verità, che non trovarla già confezionata.
Lia Ferrero
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